domenica 20 dicembre 2009

alec ounsworth - mo beauty

Avere così freddo da amare il calore delle palpebre quando si chiudono gli occhi. Sentire il corpo tirare sotto la pelle, come a tendersi speranzoso verso qualcosa che attenui questo gelo. Inutile: ho perso il mio abbraccio. Peggio: l'ho regalato a qualcuno che non sono sicura se lo meriti più di me. Ma presenza e assenza si confondono e perdono significato. Le mie parole sono scritte da qualcuno che non sono io e allora non c'è neanche più posto per la rabbia quando tutto appare con l'inesorabilità dell'evidenza.
Non mi resta che stare tra questi libri, persa in discorsi inutili e ingolfata in maglioni non miei, con l'eleganza che fa un passo indietro per lasciare il posto alla ricerca del benessere. Nell'atmosfera sospesa di un museo vuoto, la mia colonna sonora perfetta: la voce strascicante di alec ounsworth che mi dondola in questa strana e silenziosa attesa. Nei clap your hands say yeah non l'ho mai sopportata più di un tot e i progetti solisti in generale non mi hanno mai convinta più di tanto. Due negazioni si annullano a vicenda e anche se non sarà il disco dell'anno, questo mo beauty è sicuramente il preferito nella mia atmosfera atipica di fine 2009. Sarà per il suo essere eterogeneo e non troppo banale, sarà per la ritmica avvolgente o per quel sax pieno, quella chitarra vagamente latina, quel trombone che entra con la decisione che conosce solo lui, o forse semplicemente per la sua capacità di portare un passaggio nuovo proprio nel momento in cui lo senti che c'è bisogno di un cambiamento. Quando tutto il tuo sé sta all'erta nell'attesa di qualcosa, che poi non ha così tanta importanza sapere che cosa.
Io lo regalerei questo cd. Anzi, in un certo modo lo farò proprio stasera. Perché fa tanto neve e bianco gelo all'esterno, camino e vino e candele dentro. Con le dovute modifiche, perfetto per la cena che mi aspetta. E per chi è sempre lì a regalarmi il gusto di una tradizione in cui credere, anche quando ho perso il piacere di assaporarla.
E quello di assaggiare altre cose...

venerdì 11 dicembre 2009

vasco pratolini - il quartiere

Tutta la mia voglia di leggere in questo libro. E il piacere di scoprire che effetto fa vivere nel mondo immaginario che vorrei. Dove un ragazzo sa prendersi la colpa degli sbagli di un amico, perché non ha saputo alzargli la faccia e leggergli negli occhi la sua segreta richiesta di aiuto. Dove un padre riesce a spiegare al proprio figlio cosa voglia dire innamorarsi davvero, distinguendo l'insoddisfatta serenità dell'abitudine dalla bellezza del dolore che viene dal sentimento vero.
Parole che mi sembra di aver già sentito. Qualche giorno fa. Vino, amica e lacrime. Una frase che fa vedere tutto da un'altra prospettiva e apparire alla memoria due soli attimi. Insieme alla sorpresa di sentirmi semplicemente fiera per averli sentiti vivere.
Ci sono persone più competenti di me per parlare di questo libro. E molti l'hanno già fatto. Lascio a loro i commenti seri. Io mi limito a riportare due citazioni che mi sono rimaste impresse.
Prima di tutto questo passaggio, semplice e magnifico, che riassume tutta l'anima della storia:

"Eppure possiamo leggerci dentro al cuore l'uno con l'altro, seguirci in ogni strada o piazza e fra le mura delle nostre case di Quartiere. I nostri sogni sono stati così uguali che per formare diverse le nostre storie abbiamo dovuto dividerci le occasioni, come da fanciulli si prendeva ciascuno una qualità diversa di gelato per assaggiarle tutte.
Ma ora abbiamo i tacchi alti e le ginocchia coperte; e una finzione negli occhi se ci guardiamo. Ma basta che uno di noi volti un angolo di strada o salga una rampa di scale perché gli altri possano seguirlo in ogni gesto, come in uno specchio. Ce ne siamo dette le ragioni un giorno lontano, con pugni e abbracci, muco sotto il naso: non c'è nulla che possa sfuggirci nell'affetto che ci lega. Lasciate che la finzione ci squassi, o la vita, col cuore che si fa grosso e noi che lo comprimiamo. Un giorno saremo ancora tutti assieme, seppure coi corpi consumati da contatti estranei. Ma i nostri corpi sono abituati a dormire su un materasso di foglie, a soffrire di geloni, si sono nutriti di cavolo e lempredotto, come volete che ci faccia paura ritrovarci un po' diversi in viso? Credete che non ci riconosceremo?"

E poi quest'altra frase, che suona così splendida anche se ammetto di non comprenderne appieno il senso:

"Ci può essere un modo di voler bene a una donna che è peggio di abbandonarla"

Però, adesso che è facile, ci rifletto su...

sabato 5 dicembre 2009

giorgio canali & rossofuoco - 04.12 il circolone

Scrivo poco ma scrivo ancora di lui. Monotonia, fissazione o semplicemente mancanza di alternative, chissà. Io so solo che mi faccio far bene dalla mia passione per la mia musica ed un concerto così, ora, è un'utile riserva di serenità.
Il posto è piccolo, e anche Giorgio lo è. Più del previsto. Ma poi c'è tutto quello che a fa a restituirgli qualche centimetro e chilo in più ai miei occhi; insieme alla giusta dose di cattiveria, ovvio. Perché ok il rocker romantico, ma quando partono chitarrone e batteria sulla malinconica lezioni di poesia, si sente che è più giusto così, visto che alla fine, vaffanculo, io canto di te.
Io. E lui canta col giusto sfasamento, arrivando perfettamente prima o quell'attimo dopo che sorprende, fa riscoprire le canzoni e, cosa fondamentale, spiazza quelli da karaoke collettivo. Che se devo urlare parole su basi conosciute allora me ne restavo in camera mia. O nella mia piccola macchina bianca.
C'è tutto un giorno di tempi incastrati che pesa sulle gambe e lo sento. Ma sento anche Luca Martelli che pesta come se fosse alle spalle di un cantante metal, con un'energia e una convinzione che c'è da fermarsi e incantarsi. E vedere la delusione che scivola attraverso le sue braccia, alleggerendo il cuore e facendomi ritrovare il mio punto di equilibrio instabile.
Ancora funambola ed affascinata mi sveglio sul mio giorno in una Milano scintillante. Io arrivo con in testa l'ultima canzone del solito Manuel - sempre troppo vera anche quando duetta con una voce intoccabile - e lei mi accoglie con una strana installazione di lancette e quadranti, capace di strapparmi un sorriso e di adattarsi bene alla confusione leggera di oggi.
Così scopro che si può ridere con signore insospettabili e provare a dare un valore all'andare in bagno accompagnata dall'arte in esposizione.
Così mi godo tutti i baci che ricevo. Il rosso cioccolato che ripaga un ascolto forzato. Il "grazie"di uno studente belga che non conosce il mio debito verso la sua lingua - o almeno una delle due. L'"incredibile piacere" di chi non avresti mai scommesso di ritrovare, ma che qualcosa ha riportato sulla tua strada per un gioco di improbabili e irripetibili coincidenze.
Capisci perché oggi sono serena?
Perché guardo il mondo col filtro della magia dimenticata nel mondo delle favole. Perché tutto vale e sembra avere un senso che mi sfugge. Tutte queste piccole cose.
Perché mi sento esistere così.
E allora, come mi dice qualcuno, lunga vita.

venerdì 27 novembre 2009

olivia ruiz - miss météores

Metto questo cd nello stereo e ne esce una musica che non sento da un po'. L'avevo dimenticato da parte. Lo ammetto: snobbato perché un po' lontano dal mio genere.
Che cosa stupida, poi. Perché alla fine non esiste un "proprio genere": c'è solo quello che si ha il piacere di ascoltare in quel momento lì.
Per un motivo o per l'altro.
Scène française, non si scappa. Zuccherata di arpeggi acustici, archi e fiati di ritmi di sole cocente e deserta tristezza. Qualche chitarra elettrica che accompagna battiti di rock leggero e collaborazioni con nomi che forse a stare dall'altra parte delle Alpi direbbero qualcosa di più.
Ma oggi va bene così. Che mi basta solo sentire i suoni di quella lingua per tornare ai sei mesi fa di quando l'ho comprato.
Al mondo prima e alla sua serenità che mi faceva brillare gli occhi nelle fotografie e ridere delle battute "low profile" dei miei omaccioni calesiani.
Non voglio prendermi sul serio. Per questa settimana ho già dato.
E non voglio accorgermi di poter essere felice sempre a compartimenti stagni. Quasi a non poter sopportare l'idea di avere più del dovuto.
Ci sono cose che si realizzano troppo tardi. Ed altre semplicemente in ritardo. Niente panico: fanno parte delle scelte che si prendono e prima o poi arrivano a bussare.
Lascio che giochino e danzino nella mia pancia. Io torno a dormire. Prima o poi si stancheranno anche loro e allora lascerò queste coperte.
Per scoprire quanto sono bella quando so chi sono.

"Je n'ai pas pu quitter mes draps ce matin
J'avais la sensation de ton corps sur le mien.
Je suis là, lasse de t'effleurer
Tu me donnes beaucoup mais ce n'est pas assez
Je ferai pousser de fleurs dans mes cheveux
Je me ferai belle à t'en crever les yeux"

sabato 21 novembre 2009

julian casablancas - phrazes for the young

Julian Casablancas è il leader - pantaloni a sigaretta e suddetta in bocca - di quel gruppo di 5 ragazzotti dai capelli spettinati e dall'aria da indie-rocker troppo cool che sono gli Strokes. Quelli che se lo possono permettere di fare i fighi, perché sono loro che nel 2001 ci hanno regalato is this it, l'album che ha rimasticato la cultura rock di fine anni '60 e l'ha gettata in pasto a un mondo assetato di novità (o presunta tale), con tutta la sfacciataggine dei loro vent'anni. Quelli che ormai non ne possiamo più di rivederli storpiati in cloni insopportabili dai riff sempre uguali, che si perdono subito nella quantità e perdono per mancanza di originalità.
Si fa partire il disco e ci sono subito tutte le caratteristiche di base del prodotto. Chitarre cavalcanti e malate. E l'immancabile voce roca e strascicata, insolente marchio di fabbrica di Julian, che o si urla con lui o non si sopporta, e si passa avanti.
Poi, per fortuna, c'è qualcosa in più. Un ritornello di pop accattivante. Sinth e tastierine che ti si conficcano nella testa e si intrecciano con ritmi inaspettatamente folk. E allora ti viene voglia di ballare e saltellare, anche se fuori la nebbia nasconde il mondo, o forse proprio per questo.
Le terre di mezzo sono bandite: si adora o si detesta.
Io non l'ho ancora capito che faccio. Ieri non lo reggevo del tutto. Stamattina è la seconda volta che lo ascolto. In perfetta armonia con il mio umore variabile. E con le altre cose che in questi giorni riesco ad amare e detestare nello stesso, divisibile secondo.
Ancora per oggi posso essere così: armoniosamente e radicalmente incoerente.
Dunque ora mi alzo e mi sfinisco la voce che canta urlando nella mia testa. Sapendo che non durerà e presto avrò bisogno del silenzio.
Ancora per oggi.
Poi prima o poi scelgo. Lo prometto.

"Oh, I've got music coming out of my hands and feet and kisses..."
- IIIth Dimension -

martedì 10 novembre 2009

afterhours - voglio fare qualcosa che serva 2009 - 06.11 palasharp

lunedì 09.11 08h20
Ho bisogno di musica nuova.
Ne ho bisogno perché se no finisce che vado al solito, diverso concerto e mi riconosco ancora in quelle canzoni lì. Finisce che sono ancora qui, con un'altra scusa, con un altro giro, ma sempre sullo stesso treno in direzione est, con le stesse canzoni fortemente conficcate nelle orecchie.
Non lo so dire cosa voglio ma ho il sospetto che non sia questo. La chiave della felicità è la disobbedienza in sè a quello che non c'è. Che è di un album di un sacco di tempo fa ma, chissà perché, ha ancora oggi il suo significato.
Essere lì ma con negli occhi e nel petto 15 mesi prima, che quello è il loro concerto che rivivo ad ogni occasione. Ricevere un messaggio e ridere di quello che un giorno, inevitabilmente, rileggerò con triste malinconia. Perché, si sa, tutto fa un po' male e alla fine rimangono le persone che hai vicino oggi. Perfortuna. O almeno lo spero, che il passato è sempre lì e qualche dubbio viene di essere ancora soli.
E tu rifiuti di ascoltare ogni segnale che ti può cambiare, perché ti fa paura quello che succederà se poi ti senti uguale. Non si tratta di scappare ma solo di riconoscere e provare ad evitare la disfatta. Perché più di così non può esserci e a non essere me mi annoio presto.
Non posso credere che sia sufficiente. Che mi possa accontentare di questo. Voglio guardarmi intorno e vedere davvero. Voglio essere realmente qui, a questo lungo concerto, con personalità diverse che ruotano attorno allo stesso uomo sul palco e un orecchino buffo e speciale che mi raffredda il collo. Voglio il sorriso di un'amica e convincermi che posso bastare.
E sorprendermi di essere felice. Ancora.

Fuori dalla tua porta, fare la cosa giusta
essere razionali mentre ti gira la testa [...]
Non sarebbe bello essere più leggeri
e non aver paura se capitasse a noi
- riprendere Berlino -
(giusto per onorare il giorno...)

venerdì 16 ottobre 2009

mumford and sons - sigh no more

Io li adoro. Semplicemente.
A conferma che questo è il periodo dell'indie-folkeggiante con spiccate tendenze country. Con tanto di banjo e cassa che batte quel tempo lì.
Quello che batte anche il mio piede nell'aria fredda di questa anteprima di inverno arrivata senza farsi annunciare.
Ballate di soffocante malinconia e disperazione che oggi mi riempiono. Nient'altro che questo. Con cori orchestrali e dita che saltellano veloci sulle corde acustiche, sorprendendo e riscaldando la mia ingenua attesa.
Ho ascoltato the cave e me lo sono comprato questo cd. Senza voler sapere altro, che se Marcus Mumford e compagni sono riusciti a scrivere un pezzo così, tanto lontano poi non potevano cadere. Oppure sì e allora bastava quella canzone a giustificare il mio acquisto.
Che bello appurare che è vera l'ipotesi numero uno. E che bello mettere nel lettore un cd nuovo e scoprirlo traccia dopo traccia, senza conoscerlo già a memoria per averlo scaricato e consumato nelle orecchie. Senza averne già abbastanza. Senza ricordi in cerca di conferme.
Perfetto per oggi. Per la mia giornata senza memoria.
I ricordi non servono a niente. O, meglio, è il modo in cui li usiamo ad essere completamente inutile. Quelli belli ci servono solo per comparare lo squallore del presente. E da quelli brutti non riusciamo mai a trarre uno straccio di lezione o di strategia per evitare di caderci ancora. Loro lo sanno e appaiono così, all'improvviso, appiccicandosi ad una nuova situazione e facendoci ricordare che siamo anche quello che cerchiamo disperatamente di dimenticare.
Quindi oggi niente. Si stoppano i pensieri e si reagisce al presente con quelli che si è ora. Senza troppe ricadute indietro e senza sovrapposizioni di me e altri passati.
Oggi si prendono le parole di chi ti dice chi sei davvero, con la sincerità dell'insonnia. Oggi non ci si guarda alle spalle e neanche avanti. Occhi fissi suoi piedi che sono quello che sono ora.
Che tanto del resto non gliene frega niente a nessuno.
E oggi neanche a me.

"It's empty in the valley of your heart
the sun, it rises slowly as you walk
away from all the fears
and all the faults you've left behind"

lunedì 12 ottobre 2009

the zen circus - andate tutti affanculo

Mi rendo conto che ogni tanto scivolo a vivere in un altro mondo.
Un mondo per me perfetto, in cui la gente pensa quello che ti dice e fa quello che ti promette di fare. O almeno ci prova.
Riesco anche a crederci che sia possibile un mondo così. A volte per molto tempo, altre solo per alcuni istanti. Ma alla fine ritorno sempre a quello vero, realizzo la realtà delle cose, e mi sento invischiata in una strana combinazione di rabbia e impotenza.
Incazzarsi non serve quasi mai a niente. Farlo in ritardo, poi, è "roba da idioti", proprio come essere stronzi quando non se ne è capaci. Parola di Appino.
Quindi niente: s'è perso anche a questo giro. "Ci siamo fatti grandi, è andata ormai". E io non posso fare a meno di scrivere questo post con le parole del Circo Zen.
Per come sono fatta, questo disco è una fonte inesauribile di citazioni. Un po' perché io li adoro, questi tre toscanacci strafottenti ed irriverenti, che mi ricordano serate piacevoli e momenti di forzata felicità, quando li ho messi su per farmi contagiare dal loro ritmo sboccato e sincopato. Un po' perché - pur non potendomi togliere dalla testa la sua immagine tamarrissima, in canottiera e riccioli sciolti al Magnolia - mi ci ritrovo in quello che dice Andrea. Nelle sue sentenze lapidarie, emesse in quel caratteristico modo di cantare tra lo sbruffone e l'impegnato, che non fanno sconti a nessuno.
Proprio come me oggi.
Lo so che non si dovrebbero fare i conti in tasca alle persone a cui si vuole bene, però oggi rivendico un freno all'egocentrismo di chi mi rinfaccia di non esserci. A quello di chi non trova il tempo per fare un passo verso di me, quando io ho già fatto quasi tutto il cammino. E a quello un po' strano di chi ha pensato qualcosa ma poi però non la dice anche a me.
Ho deciso che non voglio permettermi di restarci male. E per farlo c'è solo una soluzione:

un egoista per necessità
necessità di vivere che non l'hai chiesto te
un egoista solo perché
di vecchi stronzi e falsi ne hai subiti troppi e...

O forse due: alzare il telefono e accordarsi per il solito aperitivo, al solito posto, con il solito Muller.
E magari andarci con gli Zen a volume sufficientemente alto nelle orecchie. Che sono sempre loro e fanno il loro sporco lavoro. Estremi. Orgogliosi. Disillusi.
Perdenti per sempre, perfetti per oggi.
Andate tutti affanculo.
E così sia.

lunedì 5 ottobre 2009

bloc party - silent alarm

Questo è un vecchio album. 2005. Vecchissimo per i tempi di vita della musica di oggi.
Non è una scoperta tardiva: sta nella mia musico-teca da quando amici in visita se lo portarono in viaggio fino a me e oggi lo scelgo soprattutto per una canzone, banquet.
Perché l'ho ascoltata troppe volte e molte volte l'ho ballata grazie a chi sapeva quando mettermela su. Perché è finita in tutte le compila fatte per spiegare me. Perché il mio iPod la riconosce tra le più gettonate e me la sceglie senza che glielo dica.
Poi sabato sera l'ho sentita una volta di più ed era la prima. La prima che era qualcun altro dietro la consolle. La prima che ho guardato intorno e ho visto per un attimo lo splendore dell'amicizia che, nonostante tutto, si dimenava con me. La prima che ho capito di fare qualcosa di sbagliato per riempire quello che forse non è così vuoto come credo.
Questo è un disco concepito per un viaggio notturno, possibilmente in un'autostrada deserta. O almeno io lo vedo così.
Non sono in macchina ma viaggio di pensieri in questa notte in cui mi manca quello che ho, aspetto quello che non ho e non rimpiango quello che ho perso.
Stare male è un rifugio conosciuto e non è ammesso per chi non hai mai voluto veramente. Oppure hai cercato solo per non volere qualcun altro.
Ci sono cose che non si possono fare e non si possono provare: non è fuggendo su labbra sconosciute che si cambiano. Ci sono sensazioni che si vogliono e non si vogliono sentire. Sarebbe bello capire in anticipo quali evitare delle prime per non incappare nelle seconde. O forse trovare il coraggio di rinunciare alle prime, che troppo spesso si sa già come va a finire.
Questa è la musica per la mia me di oggi. Voglio che compliments mi accompagni nel sonno col suo ritmo cantilenante. E domani svegliarmi senza una giornata completamente vuota da portare a termine. O almeno piena di qualcosa che possa veramente spegnere l'allarme che urla silenzioso dentro di me.

martedì 29 settembre 2009

soulsavers - broken

Arrivo un po' in ritardo a scrivere di me attraverso questo album. E lo faccio in un giorno in cui so solo perdere tempo.
Ma me no sto qua ad aspettare vari nulla e parte umbalanced pieces. E la voce di Lanegan mi sospende e mi fa bene al cuore. C'è un passaggio in cui ripete tre volte "mother". Ed è lì, alla terza che scende ancora di un niente. Di quel tanto che basta perchè mi scappi un brivido e mi ci ritrovi dentro, perfettamente adatta.
Mi ci sono addormentata con queste canzoni. E le ho avute nelle orecchie nei momenti che volevo ci fossero. Perché in questa colonna sonora di sporche e fumose città notturne, ma anche di strade interminabilmente deserte in lunghi viaggi nella solitudine del nulla, ci sono io. E mi sento a casa.
Ci dovrebbero essere i Soulsavers sotto questo progetto. E una serie di ospiti d'eccellenza. Io ci trovo solo Mark Lanegan e probabilmente è per questo che mi piace.
Che uno può anche peccare di protagonismo e presenzialismo. Ma quando sei nato con una voce così, la sola cosa giusta che ti resta da fare è regalarla al mondo. E cantare, quindi. Magari anche autocompiacendoti e primeggiando un po'. Che te lo puoi permettere.
E tutto il resto intorno sta zitto.
Appunto: silenzio. Quello che vivo da due giorni. Meglio: silenzi. Quattro. Li ho contati bene e li posso descrivere tutti. Il silenzio di un castello di aspettative e progetti che crolla. Il silenzio di movimenti e sensazioni sbagliate da imbavagliare. Il silenzio di dubbi e orgogli che uccide qualcosa che potrebbe essere. Il silenzio che mi fa da pelliccia e che devo ancora trovare il calore che me la farà togliere.
Perché nonostante la strana felicità che sa dare imparare ad uccidere la vita a mezzanotte, non riesco a smettere di credere in questa frase:
when you have no one, no one can hurt you...
Allora aspetto solo che sia troppo tardi.
E perdo del tempo che non ho mai avuto.

martedì 8 settembre 2009

hey rosetta! - into your lungs

Troppo spesso mi sto chiedendo quale sia il livello di invidia accettabile all'interno di un'amicizia. Quanto quello di egocentrismo e quanta poca la sensibilità di stare nell'altro. Credevo che la risposta esatta non comprendesse tali possibilità ma forse devo ricredermi.
Sembrerebbe facile fare un passo indietro e riconsiderare certi rapporti con certe persone... Ma se anche l'Amicizia, quella che è sempre lì, non sa essere felice per te, allora che cosa resta?
Così abbasso la testa e mi scuso. Di cosa poi non lo so. Di quello che sono, forse, che è l'unica cosa che mi resta. E allora mi domando se non ha ragione chi mi dice che devo imparare a difendere me. Se non potessi davvero smettere di piegarmi su un dolore che ogni tanto torna se imparassi a sfogare la mia rabbia invece di lasciarla urlare dai cd che ascolto a volume troppo alto per un luminoso pomeriggio che sta cadendo nell'autunno.
Non lo so, ma intanto mi compro l'ultimo album di un gruppo dal nome ridicolo che però di futile e leggero non ha proprio niente. Sono sei, sono canadesi e rendono con un sound tra l'acustico, l'epico, l'immancabile "indie" e l'orchestrale, il grido che neanche la band più nera, sporca e metallara saprebbe strapparmi fuori.
Non lo so descrivere questo disco. Leggo che ha vinto un tot di premi. E mi sembra giusto così. Ci sono delle chitarre arrabbiate e dei violoncelli "strappamutande". E in entrambi i casi mi viene voglia di sbattere qualcosa contro il muro.
Facciamo che oggi deglutisco ancora.
E che magari alzo ancora un po' di più il volume.
Tanto le orecchie sopportano.
Il resto non lo so ma si vedrà.

lunedì 31 agosto 2009

giorgio canali & rossofuoco - nostra signora della dinamite

La mia estate è arrivata alla fine dei suoi giorni e io non mi sono neanche accorta che stava male.
L'ho capito così, all'indietro su un treno che mi riportava alla realtà dopo un fine settimana sospeso dalla mia vita. L'ho capito sul "dolore dolce"* che si sprigiona dalla schitarrata finale dell'ultimo disco di Canali. Così come ho capito che le canzoni di questo album, con la loro falsa allegria fatta di ritmi di rabbia e tristezza, sono il riassunto completo di questi mesi troppo caldi e a volte troppo sereni per essere veri.
Se fossi stata più attenta avrei potuto scorgerlo nei segnali mai veramente nascosti che hanno puntellato i momenti da album dei ricordi...
... Dal silenzio che il testo di "Tutti gli uomini" - generalmente vero per non potersi riconoscere - ha fatto scendere su una serata assurda, impregnata di amicizia, discorsi seri e lacrime di esagerata felicità, quelle che ti escono dagli occhi perché non ci credi che si può stare davvero così bene...
... Dall'incanto che investe e cancella tutto il mondo attorno, in un'atmosfera galleggiante di due generazioni di chitarre distorte e voci urlate su un palco al Magnolia, con tutte le cose belle che legano quel posto al mio sorriso...
... Ma anche dalla fastidiosa sensazione che mi prende su "E chissà quando guarirà questo cuore anoressico, condannato per l’eternità a girare in tondo, in tondo, intondo, in tondo...", che impedisce alla bocca di cantare na na na na, sulla canzone apparentemente più "estiva" dell'album...
... E dalle gocce di una ferita mai chiusa che tagliano le guance quando sei persa nell'abbraccio di qualcuno che è disposto a proteggerti, anche se oggi, solo per oggi...

E allora mi prendo il rassegnato sconforto di Lezioni di poesia, con il suo "Trafitto da un raggio di luna al centro di questo mio universo personale. Nemmeno qui riesco a non pensare a te...". E lo metto via, perché anche se provo a ignorarlo, farà sempre parte di me.

Ma dedico anche al mondo là fuori quest'ultima, polemica, citazione... Che di cose da cancellare dall'estate ci sono sempre. Anche se ci si rassegna alla demoralizzante sensazione di essere dalla parte sbagliata...

"Cantano. E che ci sarà mai da cantare. Sarà che le canzoni di merda sono così facili da imparare".


* espressione rubata a Vasco Brondi

venerdì 14 agosto 2009

fanfarlo - reservoir

Capita a volte: uno si compra qualcosa prima di partire e quando rientra sudato e appiccicoso, trascinando una valigia servita per troppo poco tempo e se lo vede lì, prova l'emozione di un regalo ricevuto. Quel piccolo allargamento del cuore che si verifica quando qualcuno si prende cura di te e allora stai bene. Anche se sei tu stesso che lo fai. Ed è già tanto così...
E allora me lo ascolto per bene nel vecchio lettore cd portatile, che da quanto ci sono affezionata la musica esce ancora più bella e calda. Mi ricopro della patina malinconica che hanno queste canzoni "alla Arcade Fire" e mi sembra di essere in piena atmosfera nordica, anche se fuori ci sono 30 gradi e non mi è del tutto chiaro se questi tipi siano svedesi o inglesi.
Potrei quasi piangere sulla lamentosa melodia della tastiera a fiato (?!) di Luna o il crescendo di Fire Escape, sul piano di If it is Growning e il ritmo incalzante di Harold T. Wilkins, etc. Ma la voce di Simon Balthazar, la tromba strascicata, i violini saltellanti, mi trasmettono un senso di tranquillità e completezza che galleggio qui in questi suoni gonfi e pieni e ci credo davvero nella perfezione dell'istante.
Non sono esperta: non ce le ho le parole giuste per spiegare questa musica. Ma quando metti su un disco e lo lasci andare, perché non c'è una canzone da saltare o un suono che ti infastidisce. Quando finisce e ti sembra di essere tornato da un viaggio, le parole giuste davvero non esistono. Che tutto suonerebbe banale mentre qui c'è solo da ascoltare. E guardare.

PS: Questo cd è autoprodotto e autodistribuito. Giusto per ricordarci che nell'industria musicale c'è qualcosa di incomprensibile e spaventosamente sbagliato. Giusto per darti la sensazione di aver fatto qualcosa di buono a comprarlo...

sabato 8 agosto 2009

the rural alberta advantage - hometowns

Lo ammetto: ci sono momenti della mia vita in cui mi lascio influenzare troppo da alcune persone, Che quello che mi dicono assume un'importanza irrazionale tale da capovolgere il mio primo (e quasi sempre insindacabile) giudizio.
E allora la stessa chitarra e voce urlata che mi avevano fatto abbassare il volume dello stereo infastidita un paio di settimane fa, ora sono ufficialmente la colonna sonora di questo inizio agosto.
Perché per capire cosa ci fosse di bello ho ascoltato questo disco talmente tanto che ora ci ha appiccicati sopra i ricordi. E io ce l'ho impresso nella mente al punto da riuscire a trovare un ritornello da canticchiare in queste canzoni lontane anni luce dal tormentone estivo. Riesco a dare anche un senso alla voce femminile che fa il controcanto, cosa che nel 99% dei casi trovo sufficientemente irritante.
Ok. Detto così mi rendo conto di non dare giusto onore all'opera. Allora proviamo a metterci dei residui di master e affermare che il costo di attivazione sostenuto per arrivare ad apprezzare questo cd è stata una delle cose (in termini di tempo ed energie) meglio spese dell'ultimo periodo.
Forse più delle notti insonni a cui ha fatto da colonna sonora.
O forse no...

martedì 4 agosto 2009

laura sandi - biscotti al malto fiore per un mondo migliore

Regola numero uno: non si sceglie un libro dal titolo. E neanche dalla copertina. Ma se la somma dei due fattori dà questo risultato, forse un'eccezione alla regola si può anche fare.
Intestazione (falsamente?) stucchevole sull'immagine di una ragazzina diafana con occhialoni da "alternativa"... Esattamente quella che avrei voluto essere io se solo alla sua età avessi avuto una vaga idea di cosa significasse.
Perché Leda (la protagonista) guarda il mondo con l'ostinazione dell'innocenza di una bambina ma insieme la disillusa consapevolezza dell'adulta che sta diventando. Cosa che se davvero si potesse ragionare come lei alla sua età, sai quante cose sarebbero diverse nella (mia) vita...
Forse è assurdo credere che si possa essere così cinici e lucidi a sei anni. O forse ad essere davvero "diversi" si sviluppano dei poteri che ti fanno capire cose del mondo assolutamente insospettabili per il resto degli esseri che vi appartengono. Un'autodifesa per poter continuare a vivere nel tuo universo protetto e sperare che quello in cui dovrai entrare non sia poi così cattivo come promette di essere.
Non sarebbe bello se funzionasse davvero in questo modo? Se si affrontassero anche le cose più tragiche con la disarmante onestà di chi non capisce bene di cosa si tratta e ne tira fuori - in modo egoistico e allo stesso tempo stupendo - il lato puro del semplice accadere delle cose?

"... Quando dico noia non intendo dire ozio, come fanno tutti confondendo, e neppure un'attitudine o una condizione che le persone sane devono saper accettare, come sostengono alcuni psichiatri. Intendo la noia vera, senza sfumature. Quella di cui si può disporre in una forma soltanto. Mortale. E anche qui, non mortale come la morte definitiva, solenne e purificatrice, doverosa, ultima. Mortale come la morte di chi continua a vivere. La mia mente, non riuscendo ad esercitarsi, era paralizzata, e quindi morta, dentro qualcosa che fuori continuava a vivere."

PS: Non so niente della scrittrice, se non che ha la capacità di usare poche, semplici parole sbagliate per descrivere esattamente lo spirito delle cose e quelle sensazioni che neanche il discorso più pomposo riesce a spiegare.
... E che - almeno a quanto riportato nella quarta di copertina - mi ha rubato la biografia che vorrei!

domenica 2 agosto 2009

neutral milk hotel - the aeroplane over the sea

Sono nuovamente disoccupata da 48 ore. Conto sull'accoglienza degli amici per farmi uno straccio di vacanza.
Ma quando ho in testa un cd non posso fare a meno di comprarlo.
Lo cerco quasi per caso, che è un disco del '98 e le possibilità sono due: o lo trovo a pochissimo, che qualcuno se ne vuole liberare, oppure a un costo troppo alto perchè ormai fa parte del collezionismo. Sbaglio su tutti i fronti... Prezzo onesto: 9,25£ e mi arriva a casa... Schiaccio "buy now!" quasi senza accorgermene.
E pensare che esattamente un anno fa non aveva passato la mia personale selezione acquisto. Ne avevo salvato solo "the king of carrot flowers - part 1", che con la sua atmosfera malinconica faceva la sua bella figura sulla compilation di settembre 2008 (e probabilmente su quella di qualcuno che ne ha ricevuta una in regalo in quel periodo...).
Invece oggi la voce sguaiata di Jeff Magnum, la tromba al limite dello stonato, le chitarre acustiche suonate con rabbia mi fanno da colonna sonora adatta. Così come i pezzi di disarmante "tranquillità" (traccia omonima del titolo, "the fool", "communist daughter"), che sembrano prendere le parole che hai in testa tu per descrivere quell'appiccicosa pigrizia mista a insofferenza che ti prende in un'afosa domenica d'estate.
Non so cosa sia cambiato dal 2008. O forse lo so ma non sono capace di dirlo. Fatto sta che oggi ho l'impressione che questo disco sia ingiustamente passato sotto silenzio, visto che, quando esce dallo stereo, con lui fanno capolino una serie di "déjà écouté"...
Ma i Neutral Milk Hotel vengono molto prima di quello che ricordano.
E allora c'è qualcosa che non va...


PS: Ringrazio la "cortese" persona che mi ha ostinatamente messo questo cd nell'iPod...

sabato 1 agosto 2009

the mummers - wake me up

Strano e piacevole inaugurare questo spazio con questa canzone.
Perchè è un po' fuori dal mio genere ma mi avvolge in una giornata sudata e stanca, dove ho davvero bisogno di un risveglio dopo la rugiada che ho avuto negli occhi.
La regalo a tutti quelli che vorranno seguirmi in questo progetto e a quelli che sono capitati qui per caso.
Non voglio ammorbarvi con la mia vita attraverso le musiche e le parole di altri (che fondamentalmente a nessuno frega niente di quello che mi capita) e tantomeno posso avere la presunzione di nominarmi "critica" o, peggio ancora, "esperta" di qualcosa... Voglio solo raccontare quello che mi piace e magari capita anche di dare un suggerimento impensato.
Se poi ci scappa un po' di autobiografia, mi spiace... Ma in qualche modo dovrò pur scoprire le cose.
Insomma: Posso provare a vivere anch'io?
Posso provare a scrivere anch'io?

( ... Mi manca la risposta di qualcuno che mi dica: "Certo!"... )