venerdì 30 maggio 2014

clandestino (in casa) | spazio mab | 29.05.2014

Ascoltare la storia dal tuo punto di vista. È come quando da bambino vuoi farti leggere una fiaba per l'ennesima volta. Che dimentichi di sapere benissimo come va a finire. Per poter stare col fiato sbarrato e gli occhi sospesi. Ed inventarti sempre una prima volta. Infettarti di meraviglia.
Per capire me, dovresti avere questa insana fiducia negli esseri umani e credere per un altro giro nella stessa storia. Poi, solo per un attimo, scoprirti grande abbastanza per decidere che qualcosa non va. Non va davvero. Ed i pezzi non si incastrano perfettamente come nei videogames o come vorresti che ci incastrassimo io e te.
Se hai iniziato tutto questo, non sarò io a dirti il perché. E le puntualizzazioni costanti. I satanassi che hanno preso casa in affitto nella tua testa. Non ti forniranno un alibi con cui nasconderti sotto le acque dopo lo scoppio di fuoco.
Mi hai scritto che ho creato il mio isolo - l'unica terra che non mi caccia e non mi scaccia - ma trovami qualcuno che non lo fa. La differenza è che io innalzo fortificazioni ben visibili. Mattoni di azioni memorabili e calce di silenzi. E non mento mai, perché non me l'hanno insegnato o perché sono io che mi sono persa la lezione e non ho imparato come si fa.
La scommessa sta nel prendermi così o nel non prendermi affatto.
A te la scelta, ma non ingannarmi.
Perché potrei crederti.
E poi frantumare tutto.

lunedì 26 maggio 2014

l'inverno della civetta | s.t.

È che con i tuoi ringraziamenti non contribuisci in alcun modo ad alterare la situazione della tua assenza. E lo sai.
Ci vorrebbe un'intenzione qualsiasi. Sì. Qualcosa su cui puntare. Affidarsi e rischiare. Come io ho fatto con le mie gambe.
Le conosci bene, tu: le hai viste a lungo. Le hai sentite accartocciartisi addosso. Le hai guardate cedere e poi spuntare abbronzate dai miei vestitini troppo corti. Quello che non sai è che a volte mi danno le vertigini. E che non sempre mi portano fino a dove vorrei, ma poi mi ritrovo comunque a casa. Il che - unico fronte di resistenza contro gli incubi della mia mente - è quantomeno fantastico.
Non che sia importante, poi. Individuare il momento esatto in cui qualcosa inizia a piacerti. Musica come questa, per esempio. Oppure qualcuno che non avresti detto mai.
È un'infezione che ti scorre sottopelle e non puoi capirla nei modi facili che abbiamo a disposizione per conoscerci la vita. Nel regno delle informazioni per tutti che poi non sono per nessuno e lì dove io non ti cercherò mai. Perché lo trovo così sleale, ecco. Sleale per entrambi.
Fino a quando ci sarà neve sulle montagne e le fiamme rosse mi rincorreranno. Non posso credere nei miracoli anche quando me li ritrovo davanti. Che l'italia si sveglia ed è un altro lunedì.
E riparto con te.
Avvoltolata nella stanchezza.

lunedì 19 maggio 2014

felix van groeningen | alabama monroe

C'è un lago adagiato sul mio petto che mi disseta la notte. Sorgente di madre ignota, a pensarci bene è il posto migliore in cui potresti venire ad affogare - all'ombra del mio seno tra i tonfi sordi di questo cuore.
Non basta l'aria calda delle tue telefonate notturne per prosciugarlo. E neppure i tuoi messaggini lanciati nell'oscuro iperspazio come esperimento ultimo di ripresa. Non me ne faccio niente. Né di questo, né di tutto il tuo affetto mai richiesto.
Forse hai ragione e ci sono sempre tre scelte: andare avanti, fermarci, ma anche tornare indietro. Le abbiamo in qualsiasi momento ma a pensarci sempre impazziremmo di possibilità e paura di provarci. Quindi non lo facciamo mai.
Così nella sottrazione di questi troppi giorni basta una strada di corsa una maglia pulita un'immagine dall'alto un suono infinito. Oppure te.
Ma c'è sempre qualcosa di bello nella vita che valga la pena mettere sul proprio corpo.

giovedì 15 maggio 2014

cildo meireles | installations | hangar bicocca

Ti ho mandato un pensiero. Ma forse non l'hai ricevuto.
Poi te ne ho mandati altri cento ed altri mille li ho fatti sbattere contro la pelle. Ma dall'interno.
Perché mi serviva sentirne il movimento veloce e confuso. Il rumore secco dei loro urti nel silenzio. Per sapere che cosa fare.
Ho queste parole piccole e formattate. E poi ho quello che vorrei dirti che è molto più articolato. Che è sproporzionato al modo in cui parlerebbero tutti se fossero me. In questa me verso di te.
Allora spingo contro lo schermo così che i caratteri poi ti arrivano in rilievo e riescono a toccarti. A raccontarti l'amaro che fa il perdere te. Proprio ora che non so chi sei e non ho neanche capito come collocarti nella mia vita - sempre che abbia senso trovare un posto preciso ma in ogni caso che non ne sia fuori.
Per nostra signora sincerità e per tutto quello di me che non sai. Partire in esplorazione dei tuoi organi interni. Poterci scoprire senza aver imparato come. Andare oltre questa interruzione di corrente che ci lascia spezzati.
Perché se finisce così sei una cosa non successa e basta.
Invece io voglio farti rimanere.
In me.

domenica 11 maggio 2014

lars von trier | nymphomaniac

Quando la fine arriva, ha l'intensità di un pugno nello stomaco. Prevederla, accompagnarla con lo sguardo rallentato, sentirla lanciata addosso. Tutto questo non implica scansare l'impatto.
Proprio no.
Ora si può giocare sulle rimanenze. Sulla strada che manca a tornare a casa o sulla mia società unipersonale al collasso. Oppure si potrebbe fare che ci pensi seriamente e riconsideri pure la mia candidatura. Visto che sono tornata sotto il palco a sentirti ed ho confezionato la mia vita in pacchetti di musica da lasciare per il mondo come testamenti amplificati di quello che sono. Per quello che sono.
Ho pregato l'omino che tira da dentro la mia pancia di darmi una settimana qualsiasi per capire se ne vale la pena. Imparare a digerire i dialoghi dei nostri corpi nudi, partire in esplorazione di quello che sei. Provarci - per una volta - ad abbracciare gli alberi.
Oppure abbandonare tutto e stare qui.
Per continuare come al solito.
A pretendere di più dai tramonti.

giovedì 1 maggio 2014

cranes | forever

E brindiamo agli incendi. Agli amori così: da morirci. Ai letti matrimoniali in cui dormo da sola ma sempre con te accanto. Ed alle nostre emozioni esauste, che abbiamo messo a seccare. Qui.
Dimmi sette desideri che siano sette giorni in cui io possa credere. Mentre il bicchiere mi afferra lo stomaco, dimmi lo stesso che andrà tutto bene. Anche se non lo so più. Dimmelo.
Dammi tutte le parole che puoi, così io me le tengo pronte per il discorso e per il vestito non importa: le nostre valigie saranno sempre abbastanza piccole da contenere tutto il necessario per essere leggeri. Cappello compreso.
Anche adesso, niente si perde davvero. Tutto affiora ogni volta come musica nera su sfondo di oceano. Mentre porto avanti la mia personale raccolta del sole e i nostri occhi perdono acqua da tutte le parti ma per motivi diversi.
Mi mangio questa strada, visto che posso ingoiare poco altro.
Ti porto i pezzi di come sarò, se non mi ferma il lupo cattivo nel frattempo.
Tutto il tondo del mondo è qui. Lo vedi?
Dimmi tu come. Io ci sono.