venerdì 27 novembre 2009

olivia ruiz - miss météores

Metto questo cd nello stereo e ne esce una musica che non sento da un po'. L'avevo dimenticato da parte. Lo ammetto: snobbato perché un po' lontano dal mio genere.
Che cosa stupida, poi. Perché alla fine non esiste un "proprio genere": c'è solo quello che si ha il piacere di ascoltare in quel momento lì.
Per un motivo o per l'altro.
Scène française, non si scappa. Zuccherata di arpeggi acustici, archi e fiati di ritmi di sole cocente e deserta tristezza. Qualche chitarra elettrica che accompagna battiti di rock leggero e collaborazioni con nomi che forse a stare dall'altra parte delle Alpi direbbero qualcosa di più.
Ma oggi va bene così. Che mi basta solo sentire i suoni di quella lingua per tornare ai sei mesi fa di quando l'ho comprato.
Al mondo prima e alla sua serenità che mi faceva brillare gli occhi nelle fotografie e ridere delle battute "low profile" dei miei omaccioni calesiani.
Non voglio prendermi sul serio. Per questa settimana ho già dato.
E non voglio accorgermi di poter essere felice sempre a compartimenti stagni. Quasi a non poter sopportare l'idea di avere più del dovuto.
Ci sono cose che si realizzano troppo tardi. Ed altre semplicemente in ritardo. Niente panico: fanno parte delle scelte che si prendono e prima o poi arrivano a bussare.
Lascio che giochino e danzino nella mia pancia. Io torno a dormire. Prima o poi si stancheranno anche loro e allora lascerò queste coperte.
Per scoprire quanto sono bella quando so chi sono.

"Je n'ai pas pu quitter mes draps ce matin
J'avais la sensation de ton corps sur le mien.
Je suis là, lasse de t'effleurer
Tu me donnes beaucoup mais ce n'est pas assez
Je ferai pousser de fleurs dans mes cheveux
Je me ferai belle à t'en crever les yeux"

sabato 21 novembre 2009

julian casablancas - phrazes for the young

Julian Casablancas è il leader - pantaloni a sigaretta e suddetta in bocca - di quel gruppo di 5 ragazzotti dai capelli spettinati e dall'aria da indie-rocker troppo cool che sono gli Strokes. Quelli che se lo possono permettere di fare i fighi, perché sono loro che nel 2001 ci hanno regalato is this it, l'album che ha rimasticato la cultura rock di fine anni '60 e l'ha gettata in pasto a un mondo assetato di novità (o presunta tale), con tutta la sfacciataggine dei loro vent'anni. Quelli che ormai non ne possiamo più di rivederli storpiati in cloni insopportabili dai riff sempre uguali, che si perdono subito nella quantità e perdono per mancanza di originalità.
Si fa partire il disco e ci sono subito tutte le caratteristiche di base del prodotto. Chitarre cavalcanti e malate. E l'immancabile voce roca e strascicata, insolente marchio di fabbrica di Julian, che o si urla con lui o non si sopporta, e si passa avanti.
Poi, per fortuna, c'è qualcosa in più. Un ritornello di pop accattivante. Sinth e tastierine che ti si conficcano nella testa e si intrecciano con ritmi inaspettatamente folk. E allora ti viene voglia di ballare e saltellare, anche se fuori la nebbia nasconde il mondo, o forse proprio per questo.
Le terre di mezzo sono bandite: si adora o si detesta.
Io non l'ho ancora capito che faccio. Ieri non lo reggevo del tutto. Stamattina è la seconda volta che lo ascolto. In perfetta armonia con il mio umore variabile. E con le altre cose che in questi giorni riesco ad amare e detestare nello stesso, divisibile secondo.
Ancora per oggi posso essere così: armoniosamente e radicalmente incoerente.
Dunque ora mi alzo e mi sfinisco la voce che canta urlando nella mia testa. Sapendo che non durerà e presto avrò bisogno del silenzio.
Ancora per oggi.
Poi prima o poi scelgo. Lo prometto.

"Oh, I've got music coming out of my hands and feet and kisses..."
- IIIth Dimension -

martedì 10 novembre 2009

afterhours - voglio fare qualcosa che serva 2009 - 06.11 palasharp

lunedì 09.11 08h20
Ho bisogno di musica nuova.
Ne ho bisogno perché se no finisce che vado al solito, diverso concerto e mi riconosco ancora in quelle canzoni lì. Finisce che sono ancora qui, con un'altra scusa, con un altro giro, ma sempre sullo stesso treno in direzione est, con le stesse canzoni fortemente conficcate nelle orecchie.
Non lo so dire cosa voglio ma ho il sospetto che non sia questo. La chiave della felicità è la disobbedienza in sè a quello che non c'è. Che è di un album di un sacco di tempo fa ma, chissà perché, ha ancora oggi il suo significato.
Essere lì ma con negli occhi e nel petto 15 mesi prima, che quello è il loro concerto che rivivo ad ogni occasione. Ricevere un messaggio e ridere di quello che un giorno, inevitabilmente, rileggerò con triste malinconia. Perché, si sa, tutto fa un po' male e alla fine rimangono le persone che hai vicino oggi. Perfortuna. O almeno lo spero, che il passato è sempre lì e qualche dubbio viene di essere ancora soli.
E tu rifiuti di ascoltare ogni segnale che ti può cambiare, perché ti fa paura quello che succederà se poi ti senti uguale. Non si tratta di scappare ma solo di riconoscere e provare ad evitare la disfatta. Perché più di così non può esserci e a non essere me mi annoio presto.
Non posso credere che sia sufficiente. Che mi possa accontentare di questo. Voglio guardarmi intorno e vedere davvero. Voglio essere realmente qui, a questo lungo concerto, con personalità diverse che ruotano attorno allo stesso uomo sul palco e un orecchino buffo e speciale che mi raffredda il collo. Voglio il sorriso di un'amica e convincermi che posso bastare.
E sorprendermi di essere felice. Ancora.

Fuori dalla tua porta, fare la cosa giusta
essere razionali mentre ti gira la testa [...]
Non sarebbe bello essere più leggeri
e non aver paura se capitasse a noi
- riprendere Berlino -
(giusto per onorare il giorno...)