Il mio corpo si è precipitato a terra per riuscire a fermarsi un po' ma non ha fatto i conti con la nostra capacità di mentirci. Fingere di dare una speranza alle previsioni del tempo. Di non scriverti mai più, che l'orgoglio è il mio mestiere. Ed inventare pure che forse alla fine non ci andiamo, ma tu intanto comincia a venire qui da me e poi vediamo.
Potrebbe diventare un'abitudine presentarsi ai concerti con qualcosa di rotto - nervi, cuore o ossa che sia - e poi farseli aggiustare dalla contingenza della musica vivente. In questo rispetto bidirezionale che sono gli scusate e i grazie e i non-pensavamo-che-sarebbe-andata-a-finire-così ma poco importa, tanto la pioggia sembra sempre meno forte quando ci si sta sotto. E ormai noi da qui non ce ne andiamo.
Le tue braccia suonano e non me lo dici più. Sei il serial killer delle conversazioni umane e la soluzione è solo quella di lasciarti perdere. Che per me poi tutto ha sempre un valore diverso.
La mia utopia ha spazio di manovra agevolato e non la perdo di vista. Attaccata al filo rosso che serve a dare un senso ad ogni cosa. Anche a quest'acqua che diventa memoria nei miei muscoli.
E casomai ce ne fosse bisogno.
Mi ricorderò tutto io.