mercoledì 27 novembre 2013

tripwires | spacehopper

Non pronunciate il suo nome per esteso. Non ancora, vi prego. Non sono in grado di sostenerlo.
Ho imparato ad infilarmi nelle porte troppo strette - non ci rimango più incastrata. Ho imparato ad arrivare in alto senza fiatone - anche se tu riusciresti pure a correre. Ho sorriso e partecipato a cene troppo sontuose. Fatto aperitivi nei posti più squallidi e riempito il silenzio con racconti che non volevo fare.
Ma anche questo no, per favore.
Perché tu avrai sicuramente il tuo motivo e non devi mica spiegarmelo. Mentre io ho il mio e forse indossa solo egoismo di prima scelta, a ben guardare. O assenza formato famiglia.
Però lo sai che ho questa tendenza a toccare le cose. Parole oggetti o gesti che siano. Aggrapparmici come chi cerca tentoni qualcosa per orientarsi nel buio. O nella nebbia nera che è lente a contatto negli occhi.
Ho bisogno che tu possa sorprendermi - e non lo fai. Ho bisogno di non fare più fatica mentre anche questa caduta è stata controllata, programmata a distanza, calcolata. Per il beneficio di chi. E per l'ignoranza di chi altro.
Sono troppo pallida per stare con te. O forse troppo pavida.
E qui comunque fa troppo freddo per capire dove finisce il nostro corpo.

venerdì 22 novembre 2013

calibro 35 | il circolo mariano comense | 21.11.2013

La musica è forte, è bianca. E a volte è trasparente.
Sveglia pensieri, ricordi e sensazioni che non riusciamo a gestire.
Alcuni chiudono le tende scure per non perdere la testa.
Mentre ad altri spuntano le ali.
La notte non ha responsabilità. Viviamo avventure in mondi inesistenti. Cresciamo di qualche centimetro stando completamente fermi. E baciamo labbra che non dovremmo toccare mai.
Perché è quando il sole scende che i topi aggrediscono i gatti. Che ci curiamo fuori dalle farmacie abbracciandoci nel buio. Ed alziamo la musica per ballare forte senza sentire il battito del cuore.
Le cose a volte cospirano affinché tu sia esattamente lì. Al di là dei gusti degli imbarazzi e di quello che è giusto fare e che se ci pensi troppo trovi sempre un motivo per non fare. Le cose mi hanno fatto scivolare senza fatica fino a te. Per appoggiare il mio corpo al tuo in un gesto bellissimo. Per tornare a parlarci - finalmente - che senza i riflettori ci viene meglio.
Attendo che tutto questo possa farmi vedere il mio mondo.
Nel frattempo stai attento.
Perché giorno dopo giorno.
Arriva la notte.

martedì 12 novembre 2013

appino | arci bellezza milano | 08.11.2013

Mi sono chiesta se le feste dei morti servono anche a celebrare i delitti per vivere. Se le parole corte aiutano i discorsi e se le chitarre acustiche possono fare quel suono lì. Sempre rock.
Mi sono messa addosso un cappuccio rosso per attirare i lupi cattivi. E ti ho aspettato per tutto questo tempo, vagando nel bosco e raccogliendo barattoli di silenzi e di risate da lasciare nelle case degli altri.
Ho fatto finta che i giorni non stessero mica passando. E che l'intrinseca debolezza drammaturgica dei miei dialoghi solitari non diventasse polvere alla luce del sole. Alla luce di te.
Ora che potresti tornare, giuro che ti scrivo, ti tocco e ti faccio danzare. Con il nostro stare insieme che produce un rumore costante che è come vento quando si è in bilico sul mondo. Per questo ci rimproverano ai concerti anche se non parliamo. Per questo dormiamo a lungo nella culla di questo morbido brusio. Tanto il mondo cambia colore anche senza di noi. E allora forse è solo una questione di muscoli: se ti alleni, ti tengono su. Tutto molto semplice.
E se sei su, puoi lasciare andare.
E se lasci andare, puoi andare ancora avanti.