domenica 20 dicembre 2009

alec ounsworth - mo beauty

Avere così freddo da amare il calore delle palpebre quando si chiudono gli occhi. Sentire il corpo tirare sotto la pelle, come a tendersi speranzoso verso qualcosa che attenui questo gelo. Inutile: ho perso il mio abbraccio. Peggio: l'ho regalato a qualcuno che non sono sicura se lo meriti più di me. Ma presenza e assenza si confondono e perdono significato. Le mie parole sono scritte da qualcuno che non sono io e allora non c'è neanche più posto per la rabbia quando tutto appare con l'inesorabilità dell'evidenza.
Non mi resta che stare tra questi libri, persa in discorsi inutili e ingolfata in maglioni non miei, con l'eleganza che fa un passo indietro per lasciare il posto alla ricerca del benessere. Nell'atmosfera sospesa di un museo vuoto, la mia colonna sonora perfetta: la voce strascicante di alec ounsworth che mi dondola in questa strana e silenziosa attesa. Nei clap your hands say yeah non l'ho mai sopportata più di un tot e i progetti solisti in generale non mi hanno mai convinta più di tanto. Due negazioni si annullano a vicenda e anche se non sarà il disco dell'anno, questo mo beauty è sicuramente il preferito nella mia atmosfera atipica di fine 2009. Sarà per il suo essere eterogeneo e non troppo banale, sarà per la ritmica avvolgente o per quel sax pieno, quella chitarra vagamente latina, quel trombone che entra con la decisione che conosce solo lui, o forse semplicemente per la sua capacità di portare un passaggio nuovo proprio nel momento in cui lo senti che c'è bisogno di un cambiamento. Quando tutto il tuo sé sta all'erta nell'attesa di qualcosa, che poi non ha così tanta importanza sapere che cosa.
Io lo regalerei questo cd. Anzi, in un certo modo lo farò proprio stasera. Perché fa tanto neve e bianco gelo all'esterno, camino e vino e candele dentro. Con le dovute modifiche, perfetto per la cena che mi aspetta. E per chi è sempre lì a regalarmi il gusto di una tradizione in cui credere, anche quando ho perso il piacere di assaporarla.
E quello di assaggiare altre cose...

venerdì 11 dicembre 2009

vasco pratolini - il quartiere

Tutta la mia voglia di leggere in questo libro. E il piacere di scoprire che effetto fa vivere nel mondo immaginario che vorrei. Dove un ragazzo sa prendersi la colpa degli sbagli di un amico, perché non ha saputo alzargli la faccia e leggergli negli occhi la sua segreta richiesta di aiuto. Dove un padre riesce a spiegare al proprio figlio cosa voglia dire innamorarsi davvero, distinguendo l'insoddisfatta serenità dell'abitudine dalla bellezza del dolore che viene dal sentimento vero.
Parole che mi sembra di aver già sentito. Qualche giorno fa. Vino, amica e lacrime. Una frase che fa vedere tutto da un'altra prospettiva e apparire alla memoria due soli attimi. Insieme alla sorpresa di sentirmi semplicemente fiera per averli sentiti vivere.
Ci sono persone più competenti di me per parlare di questo libro. E molti l'hanno già fatto. Lascio a loro i commenti seri. Io mi limito a riportare due citazioni che mi sono rimaste impresse.
Prima di tutto questo passaggio, semplice e magnifico, che riassume tutta l'anima della storia:

"Eppure possiamo leggerci dentro al cuore l'uno con l'altro, seguirci in ogni strada o piazza e fra le mura delle nostre case di Quartiere. I nostri sogni sono stati così uguali che per formare diverse le nostre storie abbiamo dovuto dividerci le occasioni, come da fanciulli si prendeva ciascuno una qualità diversa di gelato per assaggiarle tutte.
Ma ora abbiamo i tacchi alti e le ginocchia coperte; e una finzione negli occhi se ci guardiamo. Ma basta che uno di noi volti un angolo di strada o salga una rampa di scale perché gli altri possano seguirlo in ogni gesto, come in uno specchio. Ce ne siamo dette le ragioni un giorno lontano, con pugni e abbracci, muco sotto il naso: non c'è nulla che possa sfuggirci nell'affetto che ci lega. Lasciate che la finzione ci squassi, o la vita, col cuore che si fa grosso e noi che lo comprimiamo. Un giorno saremo ancora tutti assieme, seppure coi corpi consumati da contatti estranei. Ma i nostri corpi sono abituati a dormire su un materasso di foglie, a soffrire di geloni, si sono nutriti di cavolo e lempredotto, come volete che ci faccia paura ritrovarci un po' diversi in viso? Credete che non ci riconosceremo?"

E poi quest'altra frase, che suona così splendida anche se ammetto di non comprenderne appieno il senso:

"Ci può essere un modo di voler bene a una donna che è peggio di abbandonarla"

Però, adesso che è facile, ci rifletto su...

sabato 5 dicembre 2009

giorgio canali & rossofuoco - 04.12 il circolone

Scrivo poco ma scrivo ancora di lui. Monotonia, fissazione o semplicemente mancanza di alternative, chissà. Io so solo che mi faccio far bene dalla mia passione per la mia musica ed un concerto così, ora, è un'utile riserva di serenità.
Il posto è piccolo, e anche Giorgio lo è. Più del previsto. Ma poi c'è tutto quello che a fa a restituirgli qualche centimetro e chilo in più ai miei occhi; insieme alla giusta dose di cattiveria, ovvio. Perché ok il rocker romantico, ma quando partono chitarrone e batteria sulla malinconica lezioni di poesia, si sente che è più giusto così, visto che alla fine, vaffanculo, io canto di te.
Io. E lui canta col giusto sfasamento, arrivando perfettamente prima o quell'attimo dopo che sorprende, fa riscoprire le canzoni e, cosa fondamentale, spiazza quelli da karaoke collettivo. Che se devo urlare parole su basi conosciute allora me ne restavo in camera mia. O nella mia piccola macchina bianca.
C'è tutto un giorno di tempi incastrati che pesa sulle gambe e lo sento. Ma sento anche Luca Martelli che pesta come se fosse alle spalle di un cantante metal, con un'energia e una convinzione che c'è da fermarsi e incantarsi. E vedere la delusione che scivola attraverso le sue braccia, alleggerendo il cuore e facendomi ritrovare il mio punto di equilibrio instabile.
Ancora funambola ed affascinata mi sveglio sul mio giorno in una Milano scintillante. Io arrivo con in testa l'ultima canzone del solito Manuel - sempre troppo vera anche quando duetta con una voce intoccabile - e lei mi accoglie con una strana installazione di lancette e quadranti, capace di strapparmi un sorriso e di adattarsi bene alla confusione leggera di oggi.
Così scopro che si può ridere con signore insospettabili e provare a dare un valore all'andare in bagno accompagnata dall'arte in esposizione.
Così mi godo tutti i baci che ricevo. Il rosso cioccolato che ripaga un ascolto forzato. Il "grazie"di uno studente belga che non conosce il mio debito verso la sua lingua - o almeno una delle due. L'"incredibile piacere" di chi non avresti mai scommesso di ritrovare, ma che qualcosa ha riportato sulla tua strada per un gioco di improbabili e irripetibili coincidenze.
Capisci perché oggi sono serena?
Perché guardo il mondo col filtro della magia dimenticata nel mondo delle favole. Perché tutto vale e sembra avere un senso che mi sfugge. Tutte queste piccole cose.
Perché mi sento esistere così.
E allora, come mi dice qualcuno, lunga vita.