venerdì 31 dicembre 2010

rocky votolato - true devotion

Ci sono sbronze fatte proprio bene.
Che bevi senza foga, perché non hai nessun fine nascosto se non quello di farlo con qualcuno. E la bottiglia si svuota naturalmente, tra risate che illuminano più delle candele e parole sciolte e leggere che aleggiano sopra i corpi avvolgendoli come la coperta che ti ha dato mamma prima di uscire.
Sono quelle che lo capisci solo dallo stordimento in cui ti ritrovi il mattino dopo che eri ubriaco. Perché la sera prima stavi semplicemente bene. E, di questi giorni, chiamalo poco.
Sono abbastanza convinta di non aver toccato vino nel giorno di ieri. Eppure ho goccioline di nebbia tutt'intorno. E non bastano le domande e la voglia di sapere e le reazioni e i confronti. Che tanto sono bravissima da sola a ricordarmi che anche alla mia felicità di una sera sarà attaccato un cartellino con un prezzo. E che prima o poi arriverà qualcuno a chiedermi il saldo, aggiungendoci anche tutti gli interessi accumulati nel frattempo.
La dolcezza si nasconde nei posti e nei gesti più impensati. Come sotto i nomi da pugili cattivi dei cantastorie degli anni nostri o il nero puro dei tuoi capelli dei tuoi vestiti dei tuoi occhi.
Uscivo da un concerto che forse non ho visto davvero, quando mi hanno suggerito questo cd. E l'ho sentito molte volte prima di arrivare al momento giusto in cui l'ho ascoltato davvero.
I nostri sensi hanno poteri di percezione inesauribili e ci restituirebbero un mondo all'ennesima potenza, se solo gliene dessimo la possibilità. E lo so che poi ci sono fortissime volontà inconsce e passati ingombranti con cui fare i conti, ma questi sedili sono già abbastanza stretti per noi due soli, non trovi?
Quindi facciamo che al prossimo giro lasciamo tutto a prendere freddo fuori dalla portiera. Che qui serve il nostro calore e per capirne il senso forse dobbiamo solo abbandonarci al lieve sfinimento di questo oggi. Con una musica così semplice e schietta a farci da inevitabile sottofondo.
Your eyes are broken glass the shattered light
Shines on everything you see
There’s a world I want to leave behind
Where a sunset in a constant bloody winter
Gives the only light, and with it I hoped I would disappear
You’re keeping me alive
‘Till the sunlight shows spring roses in water
And for the rest of my life
I’ll put your broken pieces back together

venerdì 24 dicembre 2010

nicolas fargues - ero dietro di te

Ci hai mai fatto caso che i libri, fino ad un certo punto, ci raccontano delle storie che potrebbero essere le nostre vite di tutti i giorni. Inizi a provare dei sentimenti verso i personaggi, vedi nei loro volti quelli di altre persone che hanno fatto parte di te e arrivi pure a trovarci delle coincidenze significative con l’atto primo di una trama che stai vivendo.
Poi però accade sempre una cosa così: uno dei protagonisti si trova a dover risolvere una situazione problematica e, per farlo, prende una decisione – una tra le innumerevoli possibili – e dal quel punto in poi è chiaro a tutti che l’autore ti ha proprio abbandonato. O, peggio ancora: imbrogliato.
E la cosa assurda è che tu un po’ ci hai pure sperato che facesse esattamente così, perché te l’aspettavi – volevi potertelo aspettare - ma per un attimo hai sentito addosso il timore che anche questo personaggio fantastico non ce la facesse ad andare oltre la realtà delle altre strade possibili. Quelle frantumate dal gelo che così scopri che anche l’asfalto può essere rattoppato come una stoffa lacera. Quelle che le persone normali imboccano continuamente ogni giorno, e poi ci chiediamo come mai abbiamo tutti gli stessi sguardi anonimi e gli stessi futuri facilmente prevedibili.
Sono le conseguenze contraddittorie dei finali lieti: lacerati tra l’essere nutrimento primo di tutte le speranze ed i sogni che ci fanno brillare gli occhi e insieme la causa principale dell’insoddisfazione perenne che intrappola la nostra felicità nei ricordi, perché quando l’abbiamo vissuta eravamo troppo impegnati nella nostra corsa forsennata per raggiungerla.
E ci serve a poco essere pienamente consapevoli che anche negli happy ending – a pensarci bene – quelli che festeggiano alla fine sono davvero in pochi. Perché dietro al vissero tutti felici e contenti dei tuoi eroi (solitamente due), c’è sempre almeno una persona che si sta frantumando fino a dissolversi nel bianco nulla che segue l’ultima parola dell’ultima pagina.
Ma la dipendenza di qualcuno che ha fatto delle nostre azioni il motivo della sua felicità o della sua disperazione, il dolore che provochiamo ad un altro troppo fragile che poi ci tocca pure pagarla questa fragilità e sentirci in colpa, la rabbia e il rancore che non sono del tutto rivolti a te ma che a questo punto credi di meritarti per un malato senso del dovere, tutto questo - dicevo - può essere sul serio una giustificazione valida per rinunciare a quello che ti fa stare bene?
No, perché così finiamo davvero per ridurre il valore di un nostro sorriso al diametro della pozzanghera di tutte le lacrime versate da qualcun altro per renderlo possibile. E, non so tu, ma a me sembra una cosa profondamente terribile.
E se è vero che il senso di appartenenza dell’umanità sta nello spartirsi il dolore per non sentirsi inferiore a nessuno, scusatemi tanto, ma io oggi vado a provarci. Così, senza dire niente a nessuno.
Perché, comunque vadano a finire, tutte le storie sono storie d’amore e, al contrario dei personaggi di un libro, qui sta soltanto a noi decidere come viverle.
La felicità, per me, volendo identificarla, coglierla sul vivo, è quell'emozione assoluta che provo quando ascolto certe canzoni o quando il cielo ha un certo colore che mi piace particolarmente. Ogni volta che sento la necessità di condividere tali momenti per materializzarli meglio, mi viene in mente il pensiero di una donna ideale. Ogni volta mi dico che la sconosciuta che da qualche parte è in grado di sentire la mia stessa sensazione nello stesso momento, incarna la felicità. Ma credo che la felicità sia come questa donna, come questa sensazione: è immateriale, non esiste. La felicità, l'avvenire, sono perfetti e perenni sconosciuti, in tutti i sensi del termine. Ad ogni modo, sei solo al mondo, solo con i tuoi sogni. Ma se hai la fortuna di incontrare una donna che, pur non entrandoci niente con tutto questo, per un po' ti fa sognare e pensare alla felicità, è già grandioso.

sabato 18 dicembre 2010

the decemberists - the king is dead

Sono abbagliata.
Dal sole che mi scaraventi contro le finestre e da questo cd perfettamente perfetto per quell'unico attimo in cui saprà esserlo.
La deriva country dei decemberists scaricata prima del tempo legale. Che lo so che non si fa, ma tanto poi saremo tra i pochi rimasti a comprarci il cd originale. E tu puoi anche essere lì fuori ad aspettarmi sotto la neve, ma è passato il momento in cui io avevo voglia di aspettarmi qualcosa.
Ci si secca la gola nella polvere arida del soffio caldo di armonica. E l'acustica ritmata della chitarra è lo stesso motivo che ci spinge nel nostro viaggio tra i ghiacci verso nord. Perché tutte le strade portano a roma, ma oggi lo fanno su binari perfetti che seguiamo in diligente processione per non bagnarci le nostre scarpe bucate.
Stiamo rallentando mentre il clamore dei nostri giorni lascia spazio alla banalità di un oggi di cui non facciamo parte e di cui non vogliamo sapere più nulla. Non possiamo offrirci quotidianità quando l'unica cosa possibile era prenderci e portarci dove non siamo mai stati e dove mai saremmo potuti andare.
Conosco un posto in cui la notte non si spegne. Dove potremo ascoltarci anche se non avremo niente da dirci. E non ci rinfacceremo i passati di cui non abbiamo fatto parte.
Ma troppe cose negli occhi non posso farcele stare. Ho bisogno di dormire e che tu mi guardi mentre lo faccio.
Ero dietro di te e non ti sei girato.
Ma posso venire ad incontrarti, se mi terrai il posto vuoto al tuo fianco e continueremo a guardare avanti, insieme.

domenica 12 dicembre 2010

perturbazione - baraonda 10.12 - marina di massa

I corpi delle giovani spariscono.
Alcuni li ritrovi dimenticati in donne che fatichi a riconoscere. Altri gettati in fondo ai pozzi o incastrati nei muri. Di altri ancora finisci per perdere le tracce. E le ragazze a cui appartengono continuano a guardarti sorridenti e bellissime da ricordi e fotografie che le hanno intrappolate per sempre.
A volte, però, ti sembra di scorgerle tra gli sconosciuti che camminano per strada, oppure nascoste nei discorsi della gente che ti dice cose che prima non ti diceva mai. In serate come queste, poi, basta una canzone per perdere il senso e riportarti al tempo che avete rubato insieme, ballando vicini e crescendo a nuvole di fumo e profondo rock.
Ma è solo la realtà che si diverte alle tue spalle e tutto l'errore sta nell'immensa differenza che passa tra il sognarti addosso e il sognarti punto e basta. Nessuna immagine potrà mai rendere questo concetto e tu non puoi farci niente a parte vivere.
Continuo a viaggiare nell'ombra e ritrovarmi in posti in cui - succedesse qualcosa - non avrei dovuto essere. Me lo dici anche tu che l'imprevedibilità delle nostre vite è la combinazione matematica di elementi che devono accadere in una sequenza ben precisa. E non ci servirà a niente comandare i nostri sogni se un momento così semplice può salvarci, anche quando avevamo già dichiarato chiusa la stagione annuale di concerti.
Celebriamo l'anniversario della nostra unione ora che siamo più che mai divisi in ritagli non combacianti. Senza pensare che a volte devono passare anni prima di capire chi tra noi due aveva veramente ragione. E lo puoi scoprire solo per caso. Perché bisogna perdersi davvero per illudersi di ritrovarsi, in modo che poi tutto è meglio di niente. Perché dietro a un tesoro c’è spesso un naufragio e l'importante è che il tempo d'oro passato su di te resti negli attimi e negli occhi e non scompaia come i corpi impigliati nelle reti, in fondo al nero degli abissi.
Competere competere competere per chi
competere per chi non se lo merita
competere competere competere con chi
non sa nemmeno cosa sia domenica

domenica 5 dicembre 2010

le luci della centrale elettrica - tour/anteprima teatrale 03.12 teatro dal verme

Quando ho dormito nuda per sentire tutta la pelle toccata dal lenzuolo e quando sono ingrassata tre chili perché ho perso il conto delle maglie che avevo addosso.
Quando ho pensato che se giravi a sinistra noi non ci saremmo più rivisti e poi tu a sinistra ci hai girato per davvero e quando le cose sono accadute lo stesso anche se non erano passate abbastanza macchine rosse.
Quando ti avrei portato a scopare nei parcheggi dietro ai capannoni industriali e quando alla fine ce l’ho fatta per davvero ad andare a vedere le luci della centrale elettrica. Così, col verbo coniugato in modo diverso, che tutti i nostri progetti al plurale non facevano altro che ferire i pavimenti contro cui inevitabilmente si infrangevano.
Un teatro immenso preme sulle spalle e ci rende composti intimorendo i nostri applausi. Ma possono inventarsi concerti dove vogliono: noi restiamo sempre quelli con il biglietto in tasca da settimane e nelle stesse tasche mai un soldo per il guardaroba in cui lasciamo i nostri ombrelli rotti.
Sul palco non si sa che cosa dire ma si suona attenti, mantenendo la posizione e questa è la roba bianca nel cielo che alza la marea dei nostri sguardi. Senza lacrimogeni, senza supermercati dalle grandi insegne o garage a nord di milano in cui nascondersi. Solo un disco nuovo che si inizia a portare in giro – che poi è uguale a quello vecchio e allora forse ci sono solo queste poesie distorte da leggere chiusi a chiave nel bagno, costruite sull'orgoglio di un unico accordo in cui ci siamo sedotti con parole brillanti.
La magnifica eccezione di passare del tempo biologico insieme e l'incantamento per le cose che ritornano uguali a loro stesse. Come le città, le coincidenze e i nomi che ci investono di ricordi in cui ci stiamo ancora scambiando corpi affamati di realtà, che per uccidere la confusione bastava non confondermi con niente e con nessuno. Per la saracinesca inceppata e questo supermercato che si esauriva restando sempre aperto mentre a pensarci bene non sapevi neanche dove abito. Per tutti i meravigliosi compromessi falliti e per tutte le statistiche inutili che ci davano perdenti prima ancora che il sipario si chiudesse travolgendo la violoncellista.
Per tutto quello che abbiamo sprecato e le categorie digeribili in cui abbiamo provato ad inserirci.
Addio fottiti ma aspettami.

martedì 23 novembre 2010

the decemberists - down by the water

In quello dove stai tu non lo so, ma qui nel mio mondo nessuno abbassa mai il prezzo, nessuno cambia idea a mio vantaggio e nessuno torna mai indietro.
Mi dicono che qui ci sono le anime salve, quelle meno fragili di molte altre. Sarà anche così ma noi intanto pensiamo che per farci compagnia hanno addomesticato apposta degli animali, mentre se vogliamo che qualcosa ci protegga, dobbiamo affidarci soltanto alle cinture di sicurezza.
Ci hanno tolto l'unicità del momento e il valore del tempo irripetibile. Ora tutto può accadere sempre e non puoi perderti mai nulla in questo universo virtuale. A parte il senso della scelta e della rinuncia.
Sono nata nel periodo sbagliato e voglio sentire che si fa fatica. Uso tecnologie sorpassate e compro ancora biglietti per treni lentissimi. E le persone voglio toccarle e viverle, non semplicemente leggerle o immaginare che siano state dietro ad uno schermo. Sarà il motivo per cui mi piacciono questi suoni che sanno di storie antiche, in un modo che non te lo so spiegare ma li ascolto e - per un attimo - sto bene così.
Oggi ho pensato che potevo sopravvivere all'inverno se fossi riuscita a sorridere. E poi ho pensato l'esatto contrario ma alla fine sono uscita lo stesso. E ho scoperto questa canzone e che è più di un anno che non ballo davvero. E ho scoperto come non farti invecchiare e che non ha senso conservare tutti questi cocci per riempire la mia tazza perché poi c'è anche chi può versarci dentro del té caldo e ridere forte pranzando a biscotti.
Non so perché ma ai decemberists sono legati i ricordi migliori nell'abitacolo di varie macchine e di vari viaggi, con tutto quello che ci sta intorno. Sarà che sono il sottofondo giusto o semplicemente il risultato delle mie raccolte di canzoni disseminate ovunque e per ogni occasione. Testimonianze della mia vita in musica lasciate a dei posteri che probabilmente non avranno neanche più i mezzi per ascoltarle.
In questo momento ha però un che di confortante sapere che ci sono delle canzoni che ci finiranno sempre dentro a prescindere. Destinate senza appello a diventare la colonna sonora del nostro prossimo viaggio.

venerdì 12 novembre 2010

trilogia della villeggiatura - regia di toni servillo - teatro sociale di como 11.11.10

Per questa sera regaliamoci il Teatro con la lettera grande. Costumi sfarzosi e scenografie che non devono piegarsi alla logica dell'economia e dell'assegnazione di un nuovo, insolito uso agli oggetti più strampalati. Ci riempiamo le orecchie di dialoghi spediti e saltellanti che quasi balliamo sulle poltroncine in posizione privilegiata, da dove illuminamo il palco coi nostri occhi luccicanti e i denti splendenti nell'esposizione forzata di sorrisi involontari.
Sono tre ore di incalzante bellezza e serenità: merce rara di questi tempi, da conservare gelosamente. Lavoro di prevenzione, coi puntelli che vanno messi prima e per bene, altrimenti i soffitti crollano e accade l'irrimediabile. Poi possiamo anche discutere su chi ha perso ed è il colpevole. Ma intanto siamo diventati tutti più poveri e nessuno ci dà mai indietro niente.
La lezione è che non importa rovinarsi: basta esserci ed apparire sotto il sole. Tutti i personaggi delle maschere perfette, così che tu conosci già il suono che uscirà dalle loro bocche e le mosse che faranno i loro corpi. Ma, nonostante questo, li stai ad ascoltare con attenzione fino alla fine. Li guardi aprire i vari cassettini ed estrarre a comando ragione e pensieri lieti. Fino a quando non capisci che dietro tutte le impeccabili facciate che puoi costruirti, poi è sempre l'infelicità quella che conta.
"Chi ha della stima per una persona, non può nutrire tali sentimenti. E dove non vi è stima, non vi può essere amore. E se non mi amate, lasciatemi. E se non sapete amare, imparate."

mercoledì 10 novembre 2010

le luci della centrale elettrica - per ora noi la chiameremo felicità

Vorrei sapere chi ha fatto piangere novembre. E poi non lo consola neanche. Lacrime sottili ma violente che scorrono ininterrotte fino ai piedi. Così che ora abbiamo un bel tappetino umido da mettere fuori dalla porta per dare il giusto benvenuto a questo disco.
Grigio su grigio per creare il fumo denso in cui rimangono intrappolate le nostre illusioni. Lì dove poi si disfano al primo acquazzone, che qui ci basta il maltempo per abbassare il livello d'allerta delle polvere sottili.
Mi sa che non sono altro che questo i nostri sogni: particelle nocive che non erano comprese nel pacchetto "creazione del mondo". Per questo ci tengono ai margini e stanno con noi solo fino a quando produciamo calore.
Pensavo se non poteva essere perfino normale tutto questo. Calcare il nero sotto gli occhi così da inventarsi una scusa concreta per non piangere. Vestirsi leggeri e camminare veloci sotto la pioggia solo per sentire che il freddo viene da fuori, quando ci si ferma - e non da dentro. Ostinarsi nella convizione che la gente sia meglio, quando non è neanche capace di farcelo credere. E guardare con ammirata invidia tutta questa rabbia.
Un atteggiamento di risentimento costante e continuo che poi ti incazzi e ci tiri fuori un disco come questo, ok. Ma intanto ti sei creato la tua corazza per proteggerti dallo sciame di proiettili.
Io invece lo so che tra poco ritorno indifesa, perché questo è il mio difetto di fabbricazione.
Torno a perdere acqua dagli occhi su queste canzoni che finiscono in modo strano, quasi non ci avessero detto tutto quello che dovevano. Un po' come la mia collera, che se ne va ai primi raggi e resto solo io, con la mia delusione e i progetti impossibili di arricchirmi senza fregare nessuno. Come la tua fretta di salutarmi, così che le conversazioni si chiudono senza aver capito bene di cosa stavamo parlando. O cosa stavamo tralasciando di dirci.
Niente da dimostrare e nulla da fingere. vasco brondi che fa ancora le luci della centrale elettrica, senza nessuno da convincere e nessuno da conquistare. Che tanto poi ci fregano sempre. Ma almeno abbiamo detto le nostre cose e lo abbiamo fatto nel modo distintivo che abbiamo per dirle.
Vorrei che fosse sempre così facile riconoscere le persone. Amarle od odiarle e ricevere in cambio lo stesso. Senza raggiri e doppi giochi, solo sincerità per quello che si è.
Non è vero che siamo diventati forti. Le nostre guance continuano a sciogliersi sotto le lacrime. Non c'è ruggine perché non c'è ferro e i solchi lasciati saranno le nostre rughe di domani.
Stare con te è tra le poche cose belle. Allora passami la giacca che scappiamo da questo cinema e ce ne freghiamo se gli altri si arrabbiano. In fondo è quello che vogliamo: gli insulti ma diretti, invece del solito cordiale disprezzo.
Lo sappiamo bene che questa per ora non la possiamo chiamare felicità, ma ce la facciamo almeno ed evitarci il peggio?

tra le lettere d’amore scritte a computer
che poi ci metteremo a tremare come la California, amore
nelle nostre camere separate, a inchiodare le stelle
a dichiarare guerre, a scrivere sui muri
che mi pensi raramente

sabato 30 ottobre 2010

carrozzeria orfeo - sul confine - teatro ringhiera 29.10 - milano

Certe cose non possono essere passate sotto silenzio.
Per esempio, nessuno può parlarmi di Vasco, Ligabue e Gianna Nannini sulla stessa macchina in giro per la nazione e poi ritarmi fuori un paragone con Elvis, Cash e Lewis. E magari pensare pure di restarne impunito. Potrei capire se al posto di un Rossi ci fosse stato un Brondi. Ma - pensandoci bene - lui non sarebbe mai partito con simili compagni di viaggio. Non avrebbe potuto portare le sue lacrime di ruggine e neanche confezionare in serie coperte di cieli stellati. E allora qui non ci siamo comunque.
I confronti vanno valutati con cura e non buttati lì a semplice pretesa di arricchire un discorso. Ci abbiamo passato le ore a studiarli quando eravamo piccoli: non ci è bastato per capire che la strada migliore è sempre quella più semplice?
Quindi signori, ecco a voi il teatro ideale. Come scenografia, il palco. Come luci, delle torce tascabili. Come testo, tre attori che nel nero si passano le storie.
Queste sono le premesse necessarie e sufficienti. Tutto il resto è il genio capace di costruire fantasmi di lampi e cartone che ci stregano per 50 minuti. Che la fantasia è vera solo quando nasce dall'essenziale. Diversamente, è solo un prodotto preconfezionato che provano a spacciarci per invenzione originale.
Una serata per salvarsi dalle delusioni e dall'assurdità che ci sta intorno. Aggiungiamo alla nostra lista un'altra voce che non ci sarà spiegata e consegniamo a questo spettacolo il giusto premio. Nessuna targa o discorso preparato: solo la nostra voglia di tornare a casa camminando nel buio per non rovinarci quello che abbiamo dentro agli occhi.

martedì 19 ottobre 2010

the tellers - close the evil eye

Ma sarà poi amore questo qua? Quando ci si aggrappa all'idea di un sentimento per nascondere bene di essere soli. E si finge di dimenticare che ciò che conta davvero non è mai la durata, ma l'intensità.
Le parole sono pietre preziose: vanno usate con rispetto e serve una luce vera per farle brillare. Qui, invece, si buttano a terra come carte di caramelle e io ne ho abbastanza di tutto questo zucchero: sapete bene che quello di cui ho bisogno ora è solo il bruciare del sale.
Sono tornata per coniugare al presente i miei ricordi, ma mi sono accorta che serve scontrarsi col nuovo per capire quello che abbiamo vissuto ieri, mentre le tradizioni non sono altro che i nostri programmi per quando ci sveglieremo domattina.
Si è rialzato il vento leggero del nord che ci porta le urla d'oltremanica traducendole in sospiri. Non ce la si fa ad essere cattivi quando le inconfondibili sonorità indie-rock diventano saltelli che non riesci ad afferrare. Si doveva nascere con una voce diversa - forse - e magari anche in un altro stato. E non avere come marchio di fabbrica questa acustica volante dal retrogusto francese.
Mi sono chiesta se fosse meglio avere qualcuno da lasciarsi alle spalle quando si parte o a cui andare incontro quando si arriva, ma ora so che volevo solo una persona con me durante il viaggio. Per poter chiudere gli occhi stanchi e appoggiare la testa su una spalla conosciuta. E non dover avere più timore di nulla, almeno per qualche istante.
Aspetto che i miei capelli crescano selvaggi e che le notti ritornino tranquille. Non so a cosa serva, ma qualcuno mi ha detto che there's no fear in the morning 'cause I dreamt of you again. E avete tutti sperimentato che, anche se cammino da sola, ci sono sempre molte cose che voglio vedere prima di mettere la parola fine.

domenica 10 ottobre 2010

...a toys orchestra - twiggy 09.10 - varese

Le braccia, signori: concentrati sulle braccia. E le mani, mi raccomando. Per vedere bene da dove esce la musica.
In questo sotterraneo spazio protetto, così vicino da toccarvi le vene. Lì dove scorre la rabbia e l'energia. Perché non può essere solo il vino, anche se qui sotto scorre per bene pure quello.
Il nostro destino è di aspettare ed aspettarvi, così che poi i pomeriggi sembrano lontanissimi e ancora di più i nostri discorsi sotto gli ombrelli aperti che non ci proteggono dai peccati. Qui basta che mi fai gli auguri e si risolvono i problemi. Tanto non ci sono mai state torte e nemmeno candeline: a pensarci bene ogni giorno potrebbe essere il mio compleanno. Una festa con tanto di giocattoli che suonano forte i pezzi che abbiamo ascoltato così tante volte. Mancano i fiati, ok, ma non vi preoccupate: l'orchestra la mettiamo noi con i nostri strumenti invisibili.
Insomma: a parte te, tutti presenti. Noi qui al completo con hengie e frankie, più in disparte mrs macabrette. La ragazza di plastica se n'è appena andata mentre sta arrivando quella invisibile. Cammina splendida in stivali e gonna corta. Non si fa vedere, va col suo passo nella testa. Te la senti accanto ma a nessuno è destinato il suo sguardo. Inutile urlare: ha fatto di tutto per non sentirvi.
Oggi le pellicole speciali non servono per catturare l'immagine più bella: cinque ragazzi che si cercano e si aspettano per produrre un suono. Un colpo solo, tutti insieme.
Puoi provarci in tutti i modi ma solo uno garantisce che ciò avvenga con successo: guardarsi negli occhi. Appunto: questa cosa difficilissima. Semplicemente guardarsi negli occhi.

mercoledì 6 ottobre 2010

anna melikyan - mars (dove nascono i sogni)

Esiste un posto dove si è pagati in pupazzi e si aggirano personaggi bizzarri. Dove si possono inventare gli uragani tropicali, ma poi è meglio dare ascolto alle statue e non fare niente per paura di sbagliare. O che il risultato non sia all'altezza delle aspettative.
Lì le cose possono essere viste del colore che si vuole e c'è sempre un sogno di fuga e un altrove dietro alla montagna in cui specchiarsi. Tutti avranno parole stravaganti per descrivervelo, pochi ci proveranno davvero a metterlo in pratica, la maggior parte preferirà continuare ad inventarselo.
Concordo con voi: non c'è bisogno di capitare in un fantomatico mondo sospeso e delirante, per trovare tutto questo.
Il comunismo non c'è più e siamo stati invasi dai marziani. Pensieri e domande si trasformano in telefonate e queste in progetti possibili che forse non lo saranno in un'altra occasione. Impareremo un giorno? Impareremo mai?
Servono case per accogliere gli spettacoli e i citofoni non si suonano se si sa già che dentro non c'è nessuno. Abbiamo entrambi un volo che ci aspetta e io nessuno che mi saluta all'aeroporto. Questo film mi incanta, ma io vorrei portarti in un mondo ancora più insolito, dove non arrivano gli aerei, le auto non sono ammesse e le navi non possono attraccare. Lì ti chiederei il quasi tutto che manca e non importa se accade solo nella mia mente. Le cose non cambierebbero, lo so, ma puoi lasciarmi solo continuare a credere a chi mi dice che quel posto esiste davvero?
- E pensi che la gente ci creda?
- Sicuro! La gente ha così bisogno di credere, non credi?

lunedì 4 ottobre 2010

villagers - becoming a jackal

Da quando ho smesso di scappare, ho affinato questa capacità. E ora vi sto vicino sfiorandovi con leggerezza; vi faccio credere di passarvi accanto mentre sto solo iniziando a scomparire davanti ai vostri occhi.
E' davvero possibile che non ve ne rendiate conto o state semplicemente trovando una scusa per lasciarmi andare?
Mi domando come deve essere la mia vita attutita dalla porta chiusa dietro cui state ad ascoltarmi. Oppure letta furtivamente dalle pagine di un quaderno lasciato distrattamente aperto. Qui è sempre stato troppo difficile fare domande dirette. Così ho rovinato i telefoni, a furia di piangerci dentro. E ho consumato lo stereo, tenendolo continuamente acceso.
Ora non c'è più la mia musica e siete di fronte al silenzio che vi siete costruiti e alla vostra incapacità di riempirlo. Darete a me anche la colpa di questo?
Fino a quando mi basta, ho il mio antidoto contro gli sciacalli: inforco le cuffie e parto nelle mie solite ricerche di cose giuste nei posti sbagliati. Non è qui che troverò l'ultimo pezzo della raccolta di canzoni che mi descriverà per questi 2 mesi. Non senza rompere questa compatta armonia fatta di acustica ed orchestra, mischiata al pop (ma di quello buono!) e spolverata di intrinseca malinconia, nella giusta dose che serve a descrive la costante presenza dell'assenza.
true love feeds on absence like pleasure feeds on pain
so no matter where I'm standing I still love you all the same
Ma quando mai sapere di fallire è stato un buon pretesto per non provarci fino in fondo? Questa è la mezzanotte in cui potrei urlarvi dal letto le mie paure e la situazione non cambierà, anche se continuerete a far finta di niente. Se non siete all'altezza non è poi così scontato che io sia capace di cavarmela da sola o sappia sempre fare per due. Ho i miei rotondi rifugi di emergenza, ok, ma un giorno potrebbero iniziare a girare a vuoto, incantati nel solito sterile ritornello.
Quel giorno le giustificazioni razionali perderanno le loro fragili ragioni e non basterà andarsene via per non tornare più indietro.
Quel giorno vi dimostrerò che non sono così forte come volete credere e non avrete più scuse o silenzi dietro cui nascondervi.
Quel giorno l'ultima cosa che avrò visto sarà la prima che avrò scelto. E forse sarà comunque troppo tardi.
That day.
he lies awake in his bed every night devising ways to conceal the strain | she never tells of her midnight fears or admits that she does the same | they never meet, never touch, never speak and for one tired old refrain

can you hear me now | lying in this bed
embedded in this written story
can you hear me now | calling from this bed
I'm spitting words but there's no meaning

venerdì 24 settembre 2010

belle and sebastian - write about love

Qualcuno mi ricordi l'insoddisfazione, la non serenità e il groppo di rabbia in fondo allo stomaco sempre lì, pronto a salire. Qualcuno mi fermi le gambe e mi riavvii il cuore. Ci stanno scrivendo dell'amore e io non so neanche parlarne. Questo lo sai.
Lo stile è sempre lo stesso e non è da quello che si giudica ma lo si vede già dalla copertina. Con la variante rosa confetto che chissà quand'è che siamo diventati così romantici. Roba da sentire lo stampo delle tue braccia sotto le coperte al mattino. Ci stai se fingiamo di non esserci quando la pioggia bussa sul vetro sopra di noi?
Questa musica mi commuove solo perché mi parla senza fruscii. Ho paura che lo fai e io non ho mai avuto nessuno stile. Forse per questo le persone mi irritano e ora ho i capelli bagnati e troppi sconosciuti intorno. Voglio essere da sola a proteggere il calore nelle sfere perfette di queste bolle di sapone. Scoprire quanto può essere ricca e ricercata la leggerezza e queste voci delicate - uomo e donna - che si rincorrono senza far rumore.
Ma i treni stanno troppo fermi nelle stazioni invece di andare dove devono e poi la gente ci litiga e mi assorda il frastuono. Ho capito troppo tardi che dischi come questo esistono per dare un suono al silenzio e fermare le parole inutili della gente.
Non so te, ma io a volte ho l'impressione che siamo i soli ad esserci accorti che l'estate è finita...

sabato 18 settembre 2010

baustelle - moa musiconair 17.09 - spazio villa erba cernobbio

Qui ce la giochiamo sul filo della pioggia. Ma ci sono i baustelle a como: direi che almeno questo prezzo ce lo possiamo pagare, già che abbiamo il pass al collo e una giornata così da trascrivere nel quaderno dei ricordi. Allora invochiamo santi che non ci appartengono e chiediamo alle caviglie stanche di sorreggerci ancora, anche più del previsto. Sì, perché questi qui sono all'ultima data del tour e di smettere di suonare non ne hanno proprio nessuna voglia. Così ci becchiamo la sfilza di ringraziamenti da fare, la commozione di francesco - che un po' è anche la nostra che capiamo il ruolo di chi lavora nell'ombra del lupo - e charlie che fa surf sopra le nostre teste quando ormai pensiamo tutti di potercene andare a casa.
Lo scenario è da favola e il lago sarà piatto e ricco e chiuso, ma quando è così ci fa sentire campanilisti anche se non lo vogliamo affatto. Ci prendiamo l'umidità che sale e i dolori nelle ossa del giorno dopo, in queste canzoni che spezzano tutta la nostra diffidenza perché - piacciano o no - ci sono davanti a noi dei musicisti veri.
Se ci fossimo dati appuntamento non ci saremmo mai incontrati e invece ci ritroviamo a discutere senza sapere neanche i nostri nomi e dialogare in lingue che credavamo di non conoscere più.
Si inaugurano le feste e si scopre di essere in un noi e di esserne tutto sommato orgogliosi. I progetti si spostano o si cambiano e le persone basta iniziare a parlarci o lasciarle andare perché non si ha niente da dire.
Ho paura che un giorno mi sveglio e tutto questo lo pago.
Ma nel frattempo ho un intero cd di canzoni country contro il panico a ricordarmi che c'è stato.

domenica 5 settembre 2010

arcade fire - arena parco nord 02.09 - bologna

Non c'è altro da fare: io alzo le braccia.
Ho provato a lasciar passare qualche giorno ma ora mi arrendo ufficialmente all'evidenza che non esistano parole per spiegarla, una cosa come questa. Il tour di un cd che per capirlo davvero bisogna ascoltarlo molte volte. Oppure una sola, ma fatta in questo modo qui. Che la vita sarà anche nascere, morire e qualche chiacchiera. Ma qui ci sono solo le emozioni. Quindi: come la mettiamo?
Come la delusione di tutte le promesse che continuano a farmi. Quelle che non faccio io e che poi me le mantengo tutte. Così che gli altri si sentano in diritto di pretendere e di giudicarmi senza sapere niente di me. Soprattutto che io, diversa da così, proprio non ce la faccio ad essere.
Diversa dalla ragazza che per un concerto dà tutto quello che serve - in soldi, chilometri ed energie. E pretende di conseguenza. Così che poi, quando è dentro ad uno spettacolo del genere, è normale che se ne vada in giro appagata ed affascinata per giorni, restituendo a pretese assurde e sermoni gratuiti quel sorriso beota che proprio non riesce a togliersi dalle labbra.
La gioia di aver vissuto la dimostrazione che nel 2010 può ancora esistere un gruppo come questo. Capace di buttar lì nel disco d'esordio la canzone che Bono insegue da troppo e probabilmente non saprà scrivere mai più. E farsela rimandare indietro dopo sei anni da una folla con la pelle d'oca. E' un po' come trovare qualcosa ancora in grado di accompagnarti per la tua generazione in questo mondo mordi e fuggi. Dove tutto si tiene per il tempo del comodo e del necessario. Corpi, cuori e menti comprese.
A volte mi domando se è davvero possibile che un semplice concerto mi faccia stare così bene. Poi ripenso alle ultime ore assurde e al fatto che proprio non ce la faccio a non farmi scappare da ridere. E la risposta - cazzo - è proprio sì.
E - aggiungerei - per fortuna che non so esserlo, diversa da così.

domenica 22 agosto 2010

the zen circus - rock & rodes 20.08 - piateda

Forse i piccoli miracoli, per accadere, hanno bisogno di posti inverosimili. Musei estemporanei di splendori senza importanza. Da salvaguardare dentro, a fondo. Nel luogo in cui rimangono e vibrano più forte.
Come gli amplificatori puntati addosso, che tremano le valli e i vestiti. E tutto batte insieme al cuore, o al posto suo. Con lo stomaco che si scuote e la mia pelle abbronzata che non la tocchi tu ma ci pensa questa musica senza freddo a farla fremere.
Una tradizione da rispettare con o senza di te. Due anni dopo e sono ancora qui. Insieme a questi tre tipi toscani che ridono del loro esserci ancora. E altri occhi mi guardano, altri nasi, altre bocche. I nostri denti dentro cui stanno tutti i fallimenti e che, all'occorrenza, sappiamo stringere forte, fino a spaccarcene due o tre. Gli stessi denti che si scoprono in un sorriso involontario davanti alla nostra medicina preferita. Niente controindicazioni, solo tanti effetti collaterali. Soddisfatti o rimborsati. Tanto qui è tutto gratis. E questa è un'altra magia.
Così vaffanculo: scordiamoci in cosa siamo uguali questa sera.
E che festa sia, ma di quelle vere
.
Qualcuno ci ha detto che Milano non è la verità. E infatti lo vedi quanto siamo contenti, coi decibel che rimbalzano tra i monti e i nostri corpi e nessuno che ci imponga di abbassarli, anche se la mezzanotte ce la siamo lasciata alle spalle da un pezzo.
Sono brava ad andarmene, così nessuno deve prendersi il disturbo di mandarmi via. Sono io a cercare, così tolgo la fatica di provare a rintracciarmi. Non opporre resistenza è la nostra strategia di lotta fino allo stremo. Non importa se continuiamo a pensarci e non è mai passato nulla. L'utilità la troviamo noi. E ce la caveremo bene, te lo prometto.
Tempo al tempo, senza crescere: è un'abilità che lasciamo agli altri. Per essere felici e basta. E non comunque o nonostante.
Perché oggi è una bella giornata.
E il sole è tutto per noi.

martedì 17 agosto 2010

philippe besson - e le altre sere verrai?

Prendi un quadro ed inventati una storia. Regala un passato ed un futuro ai personaggi. Dagli la vita che vuoi tu. Anche la più banale. Magari quella che stai vivendo. Ma fallo con una delicatezza rara che rende tutto universale. In cui ogni dolore si mischia a quello degli altri e scivola leggero sulle pagine, davanti alle quali si tace perché le lacrime scendono assai meglio nel silenzio. Quello che hai tu, e che hai lei per colmarlo. Quello che ho io, e che per riempirlo ho tutta me stessa. Adesso qualcuno mi spieghi chi è tra i due quello davvero più bravo a stare da solo.
Hai scoperto che si può giocare col cibo senza arrotolare la mollica in morbide palline di pane. E sarà anche vero che quando si dice ti amo a qualcuno in realtà gli si sta soltando chiedendo di essere amati. Io però mi sa che mi sarei accontentata semplicemente di essere ascoltata.
Per dare risposte bisogna quantomeno immaginare che le domande possano, un giorno, essere poste. Ed averci poi voglia di rispondere, smettendo di ingannare se stessi ed evitando le frasi vuote e banali per scappare dai vincoli.
Non lo sai che se ti ritrovi veramente libero, poi perdi la guida e nessuno ti protegge più? Non riesci a capire da dove viene il pericolo - da nessuna parte e dappertutto - e va a finire che non hai più qualcosa o qualcuno di cui fidarti.
La nostra età non ce la dà l'anagrafe, ma la nostra bellezza e la voglia del nuovo insieme. Così resto me e guardo i giorni passare, pensando che se le vite non si ricominciano ma si portano avanti, forse le persone non si perdono, probabilmente cambiano.
Così come siamo bravi noi a cambiarci i ricordi.
Una vacanza che ci si chiede se è ancora estate. Una macchina diversa ma la nostra stessa strada e i nostri immancabili dischi.
Con la consapevolezza che ci siamo noi e le nostre notti in cui possiamo veramente iniziare a vestirci di porpora.

venerdì 6 agosto 2010

rocco pappaleo - basilicata coast to coast

Cosa che se potessi farlo, ti chiamerei, ora. Per dirti solo questa roba senza importanza, probabilmente. Che sono poi le piccole cose pesanti quelle che devastano con la loro assenza. Le stesse, altre, impercettibili esplosioni che ti fanno la vita di ogni giorno.
Mi incammino un centinaio di minuti in questo anacronismo e tutto l'assurdo acquista un senso. Pure questa giornata di inverno estivo che batte sulla faccia e si arrampica dai lembi di pelle che non sono riuscita a coprire.
Una pizza gira ticchettando alle mie spalle e compare un sud ardente e sincero, dove i contadini la sera guardano la propria moglie e non la televisione, dove il perché delle cose che si fanno ce lo si chiede solo dopo e la gente se ne sta in silenzio per una ragione vera e non solamente per non sentire le risposte degli altri. Amicizia, imprevisti, progetti, discussioni, vino, paesaggi disabitati, mare, amore, risate. E musica. Insomma, quelle cose lì, che fanno parte della vita ma che poi devi uscirci un attimo per vederle davvero e provare a capirci qualcosa.
Un film così a me dà speranza che ci possa essere ancora qualcosa di buono in tutto questo. Che non si debba sempre arrivare al limite e sperare che non saremo davvero così fessi da ricascarci di nuovo.
Omettere di far del bene è l'educazione che usiamo per farci del male. Solo che poi gli effetti sono ancora più strazianti.
Le persone passano e ti lasciano addosso degli strani ricordi in forma di abitudini ormai completamente inutili.
Chissà se ce la faccio davvero a trovarmi un po' nelle splendide foto di qualcuno che non ho mai conosciuto...

sabato 31 luglio 2010

arcade fire - the suburbs (album)

Ho aggiunto alle mie esperienze musicali più o meno reiterabili un cd ed un concerto. 2 agosto e 2 settembre, per mettere dei segni sul calendario. E anche se questo terzo lavoro non è all'altezza dei precedenti, mi sa che poi ci commuoveremo davvero quando vedremo la coppia canadese farceli dal vivo i pezzoni che ci hanno rapito dal passato.
Rimane l'impianto epico e gli archi a dirotto, così come la batteria ossessiva che picchi con rabbia il palmo contro qualcosa di duro per stare al tempo. La mano che se me l'appoggi sulla fronte riesci a toccarti, toccandomi i pensieri che premono lì dentro.
Adoro gli album imponenti e rotondi. Li metti su e ti avvolgono in qualcos'altro: roba da folli, ma ci si sente protetti. E proprio non ce la puoi fare - a selezionare la modalità random - senza far crollare il mondo che ti ritrovi addosso. Fantasie di discorsi coerenti, che forse avremmo preferito più essenziali. Sottile differenza tra tanto e troppo: invoco la precarietà di una frase lasciata in sospeso, la fatica e la sorpresa di quello che sarà.
Se mi senti cercarti un'abitudine, non sono io. Non è quella cosa lì quando ti guardo negli occhi e stiamo facendo l'amore. Hai imparato che basta lo spazio ristretto della tua macchina per provare qualcosa che mi sembra felicità. O forse la confondo per tale. Ma magari anche no.
Sarò confusa ma ho un valido motivo: di mezzo ci siamo noi.
Come puoi chiederci di accontentarmi?

lunedì 26 luglio 2010

someone still loves you boris yeltsin - let it sway

Non te l'aspettavi, eh? Che quando intorno c'è il vero silenzio e il volume non lo alzi per nascondere il sottofondo di rumore, va a finire che vi ritrovate soli. Tu e la musica.
Note leggere che abbronzano la pelle. E dimmi se davvero ce la fai a tenerti stretti i neri diamanti che hai nella testa. E il tuo corpo pesante ben aderente al pavimento.
Raccontati quello che vuoi, ma oggi vincono questi ritmi di giallo incandescente. Neanche te ne accorgi e già scuoti la testa a tempo. Saltelli fregandotene di chi sta sotto di te e calpesti la maschera da rocker impegnato a tormentarsi che ti è finita tra i piedi. Fottuta dai suoni più banalmente allegri che conosci.
Delirio, ok. Ma con stile.
Chi l'ha detto che bisogna sempre prendersi sul serio?
Lo sai che se sorridi ai bambini sconosciuti poi loro ti salutano? Ma se è l'unico uomo che riesce a farti sentire piccola a salutarti, poi tu ce la fai a sorridergli ancora?
Beh: aspettiamo che inizi almeno a farlo e poi ci penseremo.
Se le tieni in tasca per un anno, le noccioline si seccano oppure iniziano a fiorire. Come le mie parole schiacciate che ti ho già detto tutto.
Il 17 agosto è così lontano. Ma ci sono tante cose da fare nel frattempo. Tipo danzare con voi fino a cadere dal ridere.
Facendo attenzione a non rovesciare il caffé.

domenica 18 luglio 2010

afterhours - summer tour 16.07 sonica festival

Grandi, neri e incazzati.
A voi tutti, ecco gli afterhours. Quelli veri: versione estiva. Se così lo vogliamo considerare questo tour che di solare ha giusto la collocazione stagionale e il sudore che è ormai una seconda pelle sotto la quale ci si impegna tutti a respirare nell'attesa.
Poi entrano loro, in un abbigliamento così scuro e pesante che ti chiedi se ce la faranno ad arrivare alla fine, trafitti da pannelli di calde lampadine gialle molto rock, che disegnano i loro profili ancora più neri nel buio immobile.
Poi iniziano a suonare e ti fregano. Ti innanellano lì una sfilza di pezzoni da rabbia e chitarra distorta che non lascia tregua.
E ti rendi conto che le forze non si sa bene da dove arrivino ma ci sono. Che se dicono che il minestrone d'estate è un alimento dissetante, allora anche questa infilata di energia cattiva altro non è che l'ossigeno di cui si ha bisogno per arrivare fino in fondo ad oggi. Un po' come il tuo odore, non era così?
Milano è solo di passaggio ed è in questo assurdo paesino della provincia bolognese che li ritrovo. Bandita l'acustica e senza convenevoli di rito, che il manuel che continua a dirci 'grazie' non ci piace mica tanto. Con tanto di mascotte xabier iriondo: non è del tutto chiaro se sia tornato negli after o negli slipknot, ma con i suoi codini riporta tutti ai tempi di germi. Anche quelli che non c'erano ancora. E questo è meraviglioso.
Ok ragazzi: rimanete sempre lì che il posto migliore in cui posso essere è qui sotto al palco. E non importa per quante volte o con chi. Continuate a starci sopra voi - stronzi quanto basta - che qui sotto si urla da soli e il livello lo si supera abbondantemente.
Non abbiamo bisogno di sentircelo dire da nessuno.

mercoledì 7 luglio 2010

born ruffians - say it

Ci hanno messo a disposizione un mondo che non basta essere da soli per montarlo. Serve qualcuno che tenga il pezzo sopra mentre tu stai avvitando la base, ed ho il sospetto che ce l'abbiano creato apposta così. Perché forse ci ho voluto davvero credere che potesse bastare questo a farci sentire vicine. Ma ora capisco che abbiamo davvero distrutto troppo se questa è l'unica scusa che ci resta per sfiorarci le mani.
Lo stomaco è abituato a smettere di avere fame e ci sono sempre delle scuse per nascondere gli occhi: non fa niente se non te ne accorgi. Ho trovato altri 3 ragazzi canadesi che provano a distrarmi con melodie che giocano impertinenti tra tirate indie, ispirazioni folk e sano e semplice pop. Ruffiani, appunto. Così come io non sono nata.
Ti lascio vincere: non hai bisogno di continuare a comprarti la difesa. C'è un protocollo da rispettare: non alzare la voce e va sempre tutto bene. E io ora non so litigare con le persone, e neanche abbracciarle. Era questo quello che volevi?
Forse non voleva niente nessuno: l'importante era arrivare fino a qui. Ma non basta crescere sotto lo stesso tetto per sentirsi uguali. O semplicemente qualcosa. Puoi mettercela tutta ma il mio sangue è ancora abbastanza dolce: chiedilo alle zanzare a cui continuo a dare da mangiare.
Abbiamo tutti dita abbastanza lunghe per azionare le frecce di direzione. Probabilmente se non le usiamo è perché ci ostiniamo a credere di andare sempre dritto. Tu continua pure così per la tua strada in cui - non so come - rappresento un ostacolo a prescindere. Io appena posso devio per la mia.
Chissà se così mi lascerai in pace o ti troverai a fare i conti con te stessa, senza una vita contro la quale opporti. Io non lo saprò mai.
Mio fratello è figlio unico.

martedì 22 giugno 2010

il post senza niente da dire

E come i giorni in cui c'hai addosso solo il tuo splendore. Quelli in cui tu non lo capisci mica che sei così. E ti aggiri come un re nudo, come se niente fosse, mentre gli altri ti urlano tutto intorno quanto sei abbagliante.
Forse un po' te ne accorgi, ma hai un personaggio da portare avanti. Aspetti le gallerie per vederti piangere nel finestrino e poi ti scopri sorridere. Hai trovato nuovi modi per tenerti il mondo fuori ma poi quello ti rientra dalla bocca. E nel rosso c'è imbarazzo e curiosità. Nelle lacrime solo tanta serenità, per una volta.
Ce la fai a ricordarti che sai essere anche così? Se l'altra volta è andata come sappiamo, non è detto che il copione sia destinato a ripetersi uguale, anche quando le premesse ci sono tutte.
I titoli nascono dalle frasi che dici per caso e le scene si costruiscono in prova. Non ci credi ancora?
Oggi è troppo facile ritrovarsi e non abbastanza stare lontani. Ci siamo creati troppe possibilità e abbiamo aumentato la nostra incapacità di decidere. O la nostra abilità a star male dove stiamo.
La realtà dei nostri giorni è quello che ci raccontiamo la mattina dopo. Tutto sta in quanto siamo bravi ad inventarci i nostri mondi per continuare a viverci dentro.
Basta un sorso d'acqua per ritornare alla realtà? O finisce che poi non ci sappiamo proprio più uscire dal nostro fantastico?

martedì 8 giugno 2010

vasco pratolini - metello

Non so se lo consiglio questo libro. Non scivola via quasi inosservato. Non mi tiene troppa compagnia e mi sa che non mi cambia neanche le impronte quando premo forte le mie dita sopra le parole; che io lo devo fare sempre, prima che mi scappino via senza averle capite.
Troppe cose che non so in questo periodo. Come far stare tutto in quattro ore, le persone nel loro giusto spazio o il lieto fine fuori da quei film che vado a vedere per poi lamentarmene. Però nelle disperate esistenze di personaggi che ancora credono di poter ottenere qualcosa, un po' mi perdo a rileggermi i pensieri. Si vede che alla fine
"La verità è che certe cose, quando te le trovi scritte e dimostrate, anche se le conosci per esperienza, assumono un altro aspetto. Le parole stampate non sono mai come i discorsi che facciamo noi, chi le scrive ci mette sempre un po' di magia. T'insegnano a ragionare su un argomento, e quello che magari pensavi digià, ti sembra anche più vero"
Ma cosa succede quando la razionalità non ci salva più? Possiamo credere all'incanto della vita se le persone tornano perché hanno sentito urlare i loro nomi nel silenzio? Conversazioni che vorresti sul comodino tutte le mattine mentre non riusciamo neanche a salutarci come vorremmo. Ti lascerò le cuffie bianche nelle orecchie quando mi hai promesso che ci rivedremo: non mi sentirai ma almeno io ti riconoscerò. Nasconderò all'ultimo momento la lettera che volevo darti: bastiamo noi per dire quanto abbiamo perso. Se ci fermiamo a pensarci, il nostro troppo tempo insieme non è mai abbastanza e i progetti di sopravvivenza sono invece la nostra vita vera. Quelle cose lì non le puoi barattare per niente al mondo: se lo fai ti stai solo fottendo.
Adattarsi, improvvisare e raggiungere lo scopo. Possiamo dire già da ora chi ne uscirà davvero sconfitto alla fine?
"E' vero, solo che tu conservi un minimo di volontà, trovi sempre una mano che ti tira su se sei abbattuto. Trovi l'amicizia, e puoi trovare anche l'amore. E non devi mai né riconoscenza né devozione a nessuno. Aiutandoti. è se stessi che aiutano, i loro scoraggiamenti, le loro paure, i loro terrori. Gli devi amicizia e amore quanto puoi. Non di più, altrimenti sarebbe ipocrisia, esagerazione. Siamo tanti girotondi, senza parere ci teniamo per mano. Se esci dal cerchio, allora sì, sei perduto."

sabato 29 maggio 2010

arcade fire - the suburbs (single)

Ho l'impressione di aver perso gli arcade fire. Un gruppone canadese capace di rinventarsi quella musica pomposa che, per essere ascoltata con rispetto, richiede un adeguato livello di volume.
E io diligentemente alzo, fino a sentirmela nel petto la malinconia che la cosparge, e dare la colpa ai loro crescendo epici e agli improvvisi cambi di ritmo per quella fastidiosa patina che mi annebbia gli occhi.
Ecco: quel gruppo lì non può nascondersi dietro questa chitarrina e questo battere accattivante. Non è moralmente accettabile.
Non in un giorno in cui di base avrei bisogno della mia musica tra il triste e l'incazzoso. E ho tenuto pure la radio bassa per sentire che potevo andare avanti. E intanto ho provato a cercare il bello dei paesini di provincia mentre mi ci perdevo dentro.
Mentre mi ci piangevo dentro.
Le lacrime che, per quante sono, non riescono a staccarmi di dosso l'etichetta che ci hai appiccicato e che mi sta lacerando la pelle da un po'. Raccogliamole in una vasca troppo grande e usiamole per lavarmi via il tuo odore. Potrebbe funzionare.
Una ragazza sta urlando qualcosa al centro della mia mente. Ma questa notte è troppo assordante e non riesco a sentirla. Strada pensieri persone. C'è una coppia di stranieri che litiga sotto la finestra e nelle loro parole incomprensibili me ne invento le vite, trovando loro una scusa per perdonarsi. Noi non possiamo fare neanche quello. Discutere da due. Ma in qualche modo ci chiediamo scusa perdendoci in altri rumori.
Me lo trovi un senso tu per favore?
Il punto di vista degli altri e il nostro che potrebbe imparare ad essere diverso. Dare una possibilità e far ripartire la canzone per scoprire una cosa terribile: inizia quasi a piacermi. Ci batto il tempo col corpo e riesco a sentire cosa mi voglio dire.
Potrebbe essere che se te ne esci con un discone come funeral poi per il resto del viaggio puoi davvero sparare agli indiani. Potrebbe essere che l'ho capita che non si può sempre stare al sicuro dietro l'amarezza e l'umidità.
Se non ci andiamo a bere, dalle pozzanghere, possiamo accontentarci di immergerci delle strane pastiglie?
Strappa le pagine bianche: sono così tristi quando non c'è più niente da scrivere. Spegni il telefono: non posso sentire gli squilli finché saltello su questa musica e fingo di non poter cadere mai.
Devo stare attenta a me e questa volta ti assicuro che faccio sul serio.
Tu?

domenica 23 maggio 2010

adam green - jacket full of danger

Noi che prendiamo i treni regionali. E ce li finiamo i libri che ci portiamo per il viaggio. Mentre siamo fermi in luoghi insospettabili e ci vediamo passare le frecce rosse dai finestrini. Troppo veloci per rendercene conto davvero.
Noi che ci guardiamo sordi e ci si scarica la batteria dell'iPod. Forse lo teniamo troppo alto. Ma in qualche modo dobbiamo pur difenderci dagli altri. C'è troppa gente uguale. Persa nella massa indistinta. E poi ci sono quei cinque o sei troppo diversi. Che ti fanno sentire bene nei vestiti che hai addosso. O in quelli che stanno scomposti ai piedi del letto.
Noi che vogliamo prenderci il sole sulla pelle e ballare al ritmo di una musica strafottente. E vedere il mondo intorno farlo. Stappare una bottiglia e accendere una candela. Fingere che possa bastare un altro come noi per risolvere tutto. Ci accompagneremmo ai concerti, parleremmo delle stesse cose, non ci tradiremmo e non avremmo amici a cui dirlo.
Ma il mondo avrebbe davvero bisogno di più voci come questa? Di qualcuno che gli canti lo schifo camuffandolo da musica colta? Non dovrebbe prima trovare il tempo di fermarsi ad ascoltare? E danzare, soprattutto. Danzare.
Ma noi per primi siamo goffi. Non sappiamo come rispondere alle domande dei bambini e non riusciamo a parlare con i nostri padri. Abbiamo capito che le case cambiano ma le persone chissà.
Allora teniamoci gelosamente il nostro essere diversi. Continuiamo a credere in una rivoluzione mentre tutto continua ad essere uguale nel suo essere peggio. Ascoltiamocela noi la nostra musica. Noi che stiamo lontano per poi andarci a trovare e sentirci vicini.
Accontentiamoci di pensare che per ora c'è sempre un treno troppo lento che ci permette di farlo.
E di riconoscere che alla fine di uno come noi forse basto solo io.

sabato 3 aprile 2010

...a toys orchestra - midnight talks

Grazie.
Per non avermi deluso, almeno voi.
Per aver superato la mia famelica attesa di cose in grado di emozionarmi. Io, in continua ricerca di equilibrio tra la musica conficcata nelle orecchie e la mia vita.
Ascolto per la prima volta e scrivo e non mi sembra possibile che esista - oggi - un disco così. Che suona come la voce di un amico che non senti da un po': ci riconosci quello che è - perché il sound da mondi buffamente macabri è sempre lì - ma la trovi arricchita di tutto quello che ha vissuto senza che tu fossi con lui. E te lo butta lì, senza falsa modestia o giri di parole.
Questi arrangiamenti mi fanno bene dentro, e mi sembra quasi di non meritarmelo. C'è del pop, ma non te ne accorgi. C'è dell'epico, ma non troppo. C'è del synth , lo stesso che rimbombava nella valle tre anni fa. C'è il solito piano che dà l'accento alle parole, perché sotto, in fondo, c'è la musica.
Quella in cui credo io, che me ne sto al di fuori.
Quella in cui per un solo attimo ho dubitato di credere ancora. Ma per fortuna esistono dischi così, in grado di scrivere i miei respiri perfetti. Di parlarmi a metà di una notte. Di questa notte.
E tutto il resto non conta.
Almeno per 14 canzoni che ne sembrano una, lunghissima. Esco da un girotondo senza senso dove abbiamo provato a salutarci con una risata ma non funziona mai. Dove non sono neanche sicura che ci teniamo per mano, ma io giro lo stesso.
Può una cosa essere così bella da sembrare folle? Che poi magari solo a me sembra talmente incredibile, mentre questo non è altro che il piacere di accorgersi di non dover sempre aspettare qualcosa che potrebbe arrivare.
Allora è così che ci si sente quando si smette di illudersi?
Potrei inziare ad abituarmi alla sensazione e toglierti tempo. Non credo te ne serva ancora molto per farmi uscire dalla tristezza di sapere già quello che stiamo per dirci.

lunedì 22 marzo 2010

okkervil river - black sheep boy [definitive edition]

Ce la sto mettendo tutta a cercarmi della musica nuova. Ore di ricerca e ascolti ma poi voglio comprare un cd e mi accorgo che in questo 2010 ne ho presi solo quattro, tre dei quali hanno una produzione ben antecedente al giorno in cui sono. Così anche per l'acquisto di oggi sfodero della scatola dei ricordi questo gioiellino, perché alla fine è inutile scavare nei seguaci quando si può avere il genio iniziale, con la sua leggera grazia, la sua classe e la sua melodia avvolgente o saltellante che porta altrove. Forse nella tradizione di cowboy persi in un tramonto che si mischia a storie di psicopatico amore. Forse in un posto dove sembro davvero bella solo perché lo voglio. Perché chi mi guarda non sta vedendo me ma quanto mi piacerebbe essere la ragazza del romanzo che mi scrivo e mi provo a vivere. Perché chi mi guarda sta vedendo la ragazza del copione perfetto che si scrive lui e prova a farmi recitare.
Lo ammetto: sono ufficialmente vittima del mio personaggio, qualunque esso sia. Perennemente in cerca del non banale e intrappolata in scene patetiche e romanzate. Pronta a farmi deludere dalle mie prove non superate e con aspettative troppo alte per me e per chi mi circonda.
Devo abbassare gli standard; smettere di vivere in un mondo che scorre parallelo a questo e che è fatto di protagonisti snob e superiori, afflitti dai loro pensieri e condannati al loro dover essere sempre "al di sopra".
Ma le persone sono troppo diverse dalle parti che ho assegnato e a volte ho l'impressione che la nostra solitudine sia un velo di arroganza.
C'è qualcosa in tutto questo che mi sfugge, magari continuando a rimettere il disco lo scopro.
O forse no. Perché io vivo qui, lo capisci?
Vivo nell'attesa spasmodica della sorpresa. Vivo nei baci rubati in un aereoporto e nelle parole dei libri che ogni tanto qualcuno mi dice e mi affascinano perché aderiscono al mio mondo sintetico.
Ho un'abilità tutta mia nel costruirmi scenari tragici in cui posso piangere e conversazioni di sguardi e pezzi di corpi che si cercano. Mi compiaccio della mia eterna mancanza e insoddisfazione e le persone non sono mai abbastanza nel loro essere decisamente troppo reali e nel loro fare cose semplici solo perché normali.
Mi sa che faccio ripartire il disco e provo a vedere se scopro un particolare nuovo in cui sorprendermi.
Mi sa che per sopravvivere devo imparare ad accettare che funziona così e smettere di sognare la mia vita.

mercoledì 3 marzo 2010

ethan & joel coen - o brother, were art thou?

Oggi provo a cambiare punto di vista. E pensare cosa possa significare per una madre sentire la proprio figlia piangere a scadenza casuale dietro una porta chiusa senza sapere il perché. Oppure intuendolo, con quella capacità strana che si acquisisce in automatico, ma senza mai sentirselo dire. Provo a domandarmi quanto possa essere lungo per un padre un altro anno di non comunicazione. Poche frasi di servizio e ostilità incondizionata, che quello è l'unico tono che si conosce. Me lo chiedo. E mi chiedo anche se io me lo lascerei fare. Se non la aprirei quella porta. Se mi permetterei davvero di nascondermi nel distacco e nell'indifferenza.
Provo a vedermi da laggiù. Nell'immagine perfetta di chi mi guarda scivolare in elegante silenzio fuori dalla sua vita. Senza spiegazioni da dare né occhi da guardare. Senza alzare la voce, che non è bene. Senza perdere il controllo, che non è così che mi vogliono. Chissà quanto sono fantastica vista da lì. Così tanto che non riesco proprio ad immaginarmi. Sempre sorridente e brillante. Sai che palle: io resto qua.
Riguardo un film già visto ed è la prima volta. Con tutte quelle immagini e i discorsi che apprezzo solo ora. E quella musica così country o cotton fields che c'è stato un tempo in cui me lo cantavano di non portare via il sole. E ci si baciava sotto la pioggia per il gusto di ricordarsene ad ogni starnuto. Mi perdevo nelle mie immagini per poi risvegliarmi al suono delle discussioni che ci si tirava addosso rincorrendosi. E mi facevano ballare in metropolitana ma poi mi insegnavano ad aspettare troppo.
E' tutto ancora così pesante.
Mi dimentico la lezione: voglio vederti provare.
Ho detto il mio pensiero e ho contato fino a tre.
Se ti tappi le orecchie come fai a scoprire che magari la canto io la canzone di successo?

domenica 28 febbraio 2010

queen - a night at the opera

Se apro la portiera rotolano fuori i pensieri. Hanno saturato l'aria e ora si accartocciano tra una neve troppo fredda per andarsene via. Sono nel posto in cui mi illudo di scappare.
Cibo razionato e musica da asporto, perché per sentire tutta la tranquillità gelata del silenzio ci vuole qualcosa che sia in grado di romperla davvero.
Non abbiamo occhi abbastanza veloci per star dietro alle frecce rosse ma pelli segnate che non sentono più dolore. La noia delle strade troppo dritte e la bugia di chi stamattina mi ha mostrato nuvole e pioggia, mentre qui c'è solo il sole che rimbalza sul bianco del monte che è sempre lì, di fronte. Dove hai fatto la guerra con mio padre e forse hai preso le sue parole, tu che ce l'hai fatta a stargli vicino.
Io invece scappo dall'affetto incondizionato e mi aggrappo ai miei problemi e alle soluzioni autoprodotte. Se non chiedo aiuto, qualcuno è capace di darmelo lo stesso?
Guido in base all'umore e l'illusione di un videogioco con dei vecchi amici. Poi però il muro è reale e siamo sempre noi a sbatterci contro. Brindiamo ai nostri scenari tragici e a quanto siamo splendide nella nostra solitudine. Mentre cerchiamo di farci voler bene da chi vuole solo star bene con noi e rivendichiamo tutto il nostro diritto a stare male. Non si scherza con le seconde possibilità: se si torna indietro bisogna essere disposti a cambiare.
Non posso avere futuri prevedibili ma voglio almeno passati certi. Rimettiamo la musica infinita e diamoci appuntamento tra le nostre lacrime tascabili. Proviamo a ritrovarci ancora, ignorando quanto siamo abili a fingere di perderci.
Cercando di non pensare che potrebbe capitarci davvero.

sabato 20 febbraio 2010

afterhours - ballate per piccole iene

Ogni giorno ha un suo domani. Anche quelli che dovrebbero fermarsi lì, apparentemente finiti nella loro perfezione. Un altro giorno dal quale voltarsi a guardare un ieri, riviverne parole e sensazioni. E trovarci tutti gli sbagli commessi.
E' una cosa così malata che mi riesce proprio bene, questa. Anzi: posso fare molto peggio. Cercando gli spazi di una vita in cui altri possono esserci e perdendo i colori del mondo in un'immagine dalla quale ci guardiamo a vicenda.
Non sto abbastanza attenta a me, lo so.
Allora lasciatemi tornare in un ieri più lontano.
Fatemi sentire la meraviglia di cercarsi nei ricordi. E scoprire che non abbiamo ancora bisogno del passato per viverci nel presente. Quando ci sorridiamo spaesati di fronte ad un concetto di stabilità che non ci appartiene e ci teniamo stretti ai sedili di una macchina troppo costosa per noi e per i nostri inconcepibili progetti.
Esistono canzoni che vivono della dimensione sonora della presenza. Altrimenti non si spiega perché poi da sola non riesco ad ascoltarle.
E poi ci sono sempre loro.
Quindi silenzio: parte la mia musica da solitudine.
Una promessa di mondo che non si smentisce mai. Una dimensione nera e graffiante. Con la rabbia giusta, la giusta tristezza e le parole crude e cattive delle didascalie che appendo ai quadri dei miei giorni.
Me la respiro e la inzuppo, che tanto è dentro te che sei solo, è dentro te che sei il re. Chiudo gli occhi coi miei cento demoni che mi fanno compagnia. Poi mi sveglio ed è oggi: e per una menzogna non posso farlo.
Non compararmi la vita e non cercare di immobilizzarmi nei tuoi dipinti: io sono quella che ha pianto prima e riderà con te dopo. O viceversa: se vuoi giocare, devi essere pronto a perdere in ogni caso. Siamo troppo simili per continuare a fingerci indifferenti mentre ci aspettiamo. E spingerci lontano quando stiamo per raggiungerci. Lasciami stare che ho capito come funziona: ci piace farci male e vedere che sulla nostra pelle c'è solo sangue, quando sai che sei fedele a quello in cui non credi più.
Ma credo di essere già abbastanza brava da sola a grattarmi le ferite. Non sono più sicura di volere anche le tue unghie.

martedì 2 febbraio 2010

miami ancora - 06.02.2010 leoncavallo

32 chilogrammi. La metà di me. E solo 5 giorni.
Passo il pomeriggio nel piacere di riempire la valigia di cose che non mi serviranno, e già lo so. Perché me lo voglio sentire tutto il peso del superfluo. E cancellare l'abilità di compattarmi la vita nei 15 chili ryanair che avevo quando prendevo e partivo. Quando la vita me la dovevo costruire e non cercare di trasportare.
Ma siamo ormai diventati noi. Sul palco ci sono ragazzi che ci sembrano piccolissimi e non abbiamo abbastanza vestiti eleganti nell'armadio. In altri posti ritroviamo persone già conosciute e ci scambiamo i lavori e non più il tempo libero.
Tutto quanto può essere buono a sapersi e strappare un sorriso. Un solo sguardo può deluderti: dipende tutto da chi lo fa.
Se non parli con gli sconosciuti, ne sarai sempre circondato. Ma qui ce ne sono davvero troppi. E troppo uguali nel loro voler essere diversi. Come si fa con la musica imperfetta e lo spazio insufficiente?
Mi attacco a chi mi è vicino e lascio andare chi vuole stare accanto alla porta. Ma come possiamo perderci quando abbiamo la capacità di ritrovarci girando e stando fermi. E di farci strada in un muro di folla?
Siamo noi e ci accontentiamo di questo. Di sentirci il fumo addosso e perdere la voce. Di conservare un foglietto rovinato dal nostro darci un programma dove nessuno ce l'ha e il nostro piacere nel scoprirci di fianco alla stessa faccia impressa nel cd che abbiamo in mano.
Siamo noi e anche se domani partiamo alla fine siamo sempre qui.
A chiederci negli occhi di poter continuare ad amarci ancora...

giovedì 28 gennaio 2010

il pan del diavolo - sono all'osso

Le ricorrenze sono fatte per essere dimenticate. E io invece me le ricordo tutte. Dodici. Cinque. Quando ci sfamavamo a pollo e concerti. Mentre io ero troppo magra e non me lo diceva nessuno. Ero troppo magra e ora me lo dicevano tutti perché me lo dico io.
Il primo giorno di una nuova cura e respiro con la bocca perché non mi basta l'aria che entra dalle narici. E neanche quella che mi arriva dalle orecchie.
Oggi è tornato il sole nelle previsioni e la mia macchina si scopre non abbastanza bianca. Oggi è tornato il sole nella mia musica e si sente che queste sono voci che ce l'hanno addosso molto più di me o di chi ascoltavo ieri.
Non sopporto chi mi fissa e chi urla troppo nelle canzoni. Chi parla da solo quando parla con me e i ritmi ostentamente folk-popolari. Preferisco il rumore dei testi alle parole della musica. Qui invece ci sono frasi inutilizzabili che si intrecciano su ritmi e accordi che mi muovono a riflesso incondizionato.
Ok, mi sa che va a finire che questo cd mi piace così tanto solo per oggi.
Poco male: sarà un'altra ricorrenza inutile da ricordare.

sabato 23 gennaio 2010

black eyed dog - rhaianuledada (songs to sissy)

Secondo me lo so che posso dare un senso agli occhi che mi seguono quando passo. E anche a quelli che si abbassano, arrossendo, se mi avvicino, benché siano pagati per guardare estranei che hanno pagato per guardare.
Ne sono capace, certo, è solo che non ho voglia di farlo. Sono troppo impegnata a salvarmi dai discorsi inutili e a ripetere con la necessaria cordialità cose mille volte dette a persone mille volte diverse ma con la stessa disattenzione e le stesse domande nella testa.
Conosco risposte che devono essere date a me e non ad un bisogno altrui. E agende così disordinate e distratte da farmi sentire molto utile molto presto.
C'è un progetto da qualche parte che rimette certe persone nella mia vita così, quasi per caso. Lo stesso che mi sceglie le canzoni nell'ipod mentre mi circonda la bellezza immensamente vuota che assumono le cose quando si vestono di un silenzio e di una calma che non appartengono a loro. E penso alle fotografie in cui non avrei voluto apparire. Quelle che non mi hanno scattato. E le altre che non mi hanno nemmeno regalato.
Su questo disco c'è poco da dire e solo da ascoltare. Magari nel momento giusto, quando timbri profondi e pianoforti sull'orlo delle lacrime non sanno di stucchevole e non tirano fuori solo i tristi pensieri. In fondo non c'è bisogno di sapere troppo quando si trova una musica che sa riempire gli spazi. Quelli esterni, di una città sospesa in un'attesa muta e irreale. E quelli interni, di uno stomaco che non vedrà il pranzo dimenticato sul tavolo di casa e neanche il calore delle persone che hanno smarrito il loro utilizzo di me.
Poi, per fortuna, ci sono altri amici che ci ritrovano al momento giusto. E ci aspettano sempre nelle loro nuove case che intanto diventano vecchie.
Quindi ti prego: vediamoci stasera. Non dirmi di no all'ultimo anche se io l'ho fatto. Ho un cantante della 'tua' Varese da farti sentire. Un ragazzo con quella voce proprio come piace a me. Mandami un messaggio e incontriamoci dove vuoi tu. Invitami ancora da te e dammi le chiavi della tua casa.
E poi, già che sei qui, dimmi se esiste un modo per imparare a dire che si vuol bene a chi non ci ha mai insegnato a dirlo...

sabato 16 gennaio 2010

vasco brondi - cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero

E tu mi dici che sono contenti di te. E te lo fanno capire ad insulti e disprezzo. Questo te lo ricordi? Con le nostre memorie che hanno un difetto di fabbricazione congenito perché non è possibile che dimentichiamo sempre le cose brutte. Notti di conversazioni troppo contorte e restano solo muri di parole su finestre di uno schermo. Impareremo mai a difenderci? O a smetterla di perdonare?
La frutta che ho portato è più brava a riempirmi la punta delle dita di arancione che lo stomaco di energia. Ho fame di reazioni in questa mattinata che ho sbagliato a puntare la sveglia ma poi al lavoro ci sono arrivata in anticipo lo stesso. Perché ho perso una voce ma a richiamarmi al mondo ci pensa una compagnia telefonica che mi rinnova una promozione di cui non ho più bisogno.
Allora avanti, cercando il mio ritmo in una raccolta di canzoni. La parola che suona in quel momento nel sacchetto di una passante. Stupirsi come un mimo senza fiore da estrarre. Solo scale reali da salire e un libro di cornici sbreccate. Con talmente tante colonne sonore che si possono sentire anche se lo si legge in silenzio.
C'è qualcuno che conosci che ha trasformato degli edifici in quadrati bianchi e neri. E ce li fanno vedere in un posto che conosco ma non ricordo dov'è. Facciamo che mi tengo questi quadri di carta. Polverosi, sporchi, graffiati e sanguinanti. Neorealismi di una sottospecie di una nuova generazione che mi fanno meglio e mi tengono lontana da te.
Un pittore vicino a scadenza mi dice: Se potessi esprimerlo con le parole non ci sarebbe nessuna ragione di dipingerlo. Poi c'è un ragazzo che quello che bisogna tirare fuori riesce a dirlo con le sue frasi spezzate e incongruenti, così profondamente personali da diventare pubbliche. E poi le se anche suonare. E soprattutto urlare.
C'è un suo frammento di vita catturato da una persona che non conosce. Io non la conosco più ma abbiamo perso i conti delle multe da pagare per i nostri divieti di fermata e di sosta nelle reciproche teste.
Mi fischiano le orecchie. Per la musica troppo alta non per altro motivo. In ogni caso, mi fa male la mente - puoi spegnere le luci per favore?