domenica 28 febbraio 2010

queen - a night at the opera

Se apro la portiera rotolano fuori i pensieri. Hanno saturato l'aria e ora si accartocciano tra una neve troppo fredda per andarsene via. Sono nel posto in cui mi illudo di scappare.
Cibo razionato e musica da asporto, perché per sentire tutta la tranquillità gelata del silenzio ci vuole qualcosa che sia in grado di romperla davvero.
Non abbiamo occhi abbastanza veloci per star dietro alle frecce rosse ma pelli segnate che non sentono più dolore. La noia delle strade troppo dritte e la bugia di chi stamattina mi ha mostrato nuvole e pioggia, mentre qui c'è solo il sole che rimbalza sul bianco del monte che è sempre lì, di fronte. Dove hai fatto la guerra con mio padre e forse hai preso le sue parole, tu che ce l'hai fatta a stargli vicino.
Io invece scappo dall'affetto incondizionato e mi aggrappo ai miei problemi e alle soluzioni autoprodotte. Se non chiedo aiuto, qualcuno è capace di darmelo lo stesso?
Guido in base all'umore e l'illusione di un videogioco con dei vecchi amici. Poi però il muro è reale e siamo sempre noi a sbatterci contro. Brindiamo ai nostri scenari tragici e a quanto siamo splendide nella nostra solitudine. Mentre cerchiamo di farci voler bene da chi vuole solo star bene con noi e rivendichiamo tutto il nostro diritto a stare male. Non si scherza con le seconde possibilità: se si torna indietro bisogna essere disposti a cambiare.
Non posso avere futuri prevedibili ma voglio almeno passati certi. Rimettiamo la musica infinita e diamoci appuntamento tra le nostre lacrime tascabili. Proviamo a ritrovarci ancora, ignorando quanto siamo abili a fingere di perderci.
Cercando di non pensare che potrebbe capitarci davvero.

sabato 20 febbraio 2010

afterhours - ballate per piccole iene

Ogni giorno ha un suo domani. Anche quelli che dovrebbero fermarsi lì, apparentemente finiti nella loro perfezione. Un altro giorno dal quale voltarsi a guardare un ieri, riviverne parole e sensazioni. E trovarci tutti gli sbagli commessi.
E' una cosa così malata che mi riesce proprio bene, questa. Anzi: posso fare molto peggio. Cercando gli spazi di una vita in cui altri possono esserci e perdendo i colori del mondo in un'immagine dalla quale ci guardiamo a vicenda.
Non sto abbastanza attenta a me, lo so.
Allora lasciatemi tornare in un ieri più lontano.
Fatemi sentire la meraviglia di cercarsi nei ricordi. E scoprire che non abbiamo ancora bisogno del passato per viverci nel presente. Quando ci sorridiamo spaesati di fronte ad un concetto di stabilità che non ci appartiene e ci teniamo stretti ai sedili di una macchina troppo costosa per noi e per i nostri inconcepibili progetti.
Esistono canzoni che vivono della dimensione sonora della presenza. Altrimenti non si spiega perché poi da sola non riesco ad ascoltarle.
E poi ci sono sempre loro.
Quindi silenzio: parte la mia musica da solitudine.
Una promessa di mondo che non si smentisce mai. Una dimensione nera e graffiante. Con la rabbia giusta, la giusta tristezza e le parole crude e cattive delle didascalie che appendo ai quadri dei miei giorni.
Me la respiro e la inzuppo, che tanto è dentro te che sei solo, è dentro te che sei il re. Chiudo gli occhi coi miei cento demoni che mi fanno compagnia. Poi mi sveglio ed è oggi: e per una menzogna non posso farlo.
Non compararmi la vita e non cercare di immobilizzarmi nei tuoi dipinti: io sono quella che ha pianto prima e riderà con te dopo. O viceversa: se vuoi giocare, devi essere pronto a perdere in ogni caso. Siamo troppo simili per continuare a fingerci indifferenti mentre ci aspettiamo. E spingerci lontano quando stiamo per raggiungerci. Lasciami stare che ho capito come funziona: ci piace farci male e vedere che sulla nostra pelle c'è solo sangue, quando sai che sei fedele a quello in cui non credi più.
Ma credo di essere già abbastanza brava da sola a grattarmi le ferite. Non sono più sicura di volere anche le tue unghie.

martedì 2 febbraio 2010

miami ancora - 06.02.2010 leoncavallo

32 chilogrammi. La metà di me. E solo 5 giorni.
Passo il pomeriggio nel piacere di riempire la valigia di cose che non mi serviranno, e già lo so. Perché me lo voglio sentire tutto il peso del superfluo. E cancellare l'abilità di compattarmi la vita nei 15 chili ryanair che avevo quando prendevo e partivo. Quando la vita me la dovevo costruire e non cercare di trasportare.
Ma siamo ormai diventati noi. Sul palco ci sono ragazzi che ci sembrano piccolissimi e non abbiamo abbastanza vestiti eleganti nell'armadio. In altri posti ritroviamo persone già conosciute e ci scambiamo i lavori e non più il tempo libero.
Tutto quanto può essere buono a sapersi e strappare un sorriso. Un solo sguardo può deluderti: dipende tutto da chi lo fa.
Se non parli con gli sconosciuti, ne sarai sempre circondato. Ma qui ce ne sono davvero troppi. E troppo uguali nel loro voler essere diversi. Come si fa con la musica imperfetta e lo spazio insufficiente?
Mi attacco a chi mi è vicino e lascio andare chi vuole stare accanto alla porta. Ma come possiamo perderci quando abbiamo la capacità di ritrovarci girando e stando fermi. E di farci strada in un muro di folla?
Siamo noi e ci accontentiamo di questo. Di sentirci il fumo addosso e perdere la voce. Di conservare un foglietto rovinato dal nostro darci un programma dove nessuno ce l'ha e il nostro piacere nel scoprirci di fianco alla stessa faccia impressa nel cd che abbiamo in mano.
Siamo noi e anche se domani partiamo alla fine siamo sempre qui.
A chiederci negli occhi di poter continuare ad amarci ancora...