venerdì 31 dicembre 2010

rocky votolato - true devotion

Ci sono sbronze fatte proprio bene.
Che bevi senza foga, perché non hai nessun fine nascosto se non quello di farlo con qualcuno. E la bottiglia si svuota naturalmente, tra risate che illuminano più delle candele e parole sciolte e leggere che aleggiano sopra i corpi avvolgendoli come la coperta che ti ha dato mamma prima di uscire.
Sono quelle che lo capisci solo dallo stordimento in cui ti ritrovi il mattino dopo che eri ubriaco. Perché la sera prima stavi semplicemente bene. E, di questi giorni, chiamalo poco.
Sono abbastanza convinta di non aver toccato vino nel giorno di ieri. Eppure ho goccioline di nebbia tutt'intorno. E non bastano le domande e la voglia di sapere e le reazioni e i confronti. Che tanto sono bravissima da sola a ricordarmi che anche alla mia felicità di una sera sarà attaccato un cartellino con un prezzo. E che prima o poi arriverà qualcuno a chiedermi il saldo, aggiungendoci anche tutti gli interessi accumulati nel frattempo.
La dolcezza si nasconde nei posti e nei gesti più impensati. Come sotto i nomi da pugili cattivi dei cantastorie degli anni nostri o il nero puro dei tuoi capelli dei tuoi vestiti dei tuoi occhi.
Uscivo da un concerto che forse non ho visto davvero, quando mi hanno suggerito questo cd. E l'ho sentito molte volte prima di arrivare al momento giusto in cui l'ho ascoltato davvero.
I nostri sensi hanno poteri di percezione inesauribili e ci restituirebbero un mondo all'ennesima potenza, se solo gliene dessimo la possibilità. E lo so che poi ci sono fortissime volontà inconsce e passati ingombranti con cui fare i conti, ma questi sedili sono già abbastanza stretti per noi due soli, non trovi?
Quindi facciamo che al prossimo giro lasciamo tutto a prendere freddo fuori dalla portiera. Che qui serve il nostro calore e per capirne il senso forse dobbiamo solo abbandonarci al lieve sfinimento di questo oggi. Con una musica così semplice e schietta a farci da inevitabile sottofondo.
Your eyes are broken glass the shattered light
Shines on everything you see
There’s a world I want to leave behind
Where a sunset in a constant bloody winter
Gives the only light, and with it I hoped I would disappear
You’re keeping me alive
‘Till the sunlight shows spring roses in water
And for the rest of my life
I’ll put your broken pieces back together

venerdì 24 dicembre 2010

nicolas fargues - ero dietro di te

Ci hai mai fatto caso che i libri, fino ad un certo punto, ci raccontano delle storie che potrebbero essere le nostre vite di tutti i giorni. Inizi a provare dei sentimenti verso i personaggi, vedi nei loro volti quelli di altre persone che hanno fatto parte di te e arrivi pure a trovarci delle coincidenze significative con l’atto primo di una trama che stai vivendo.
Poi però accade sempre una cosa così: uno dei protagonisti si trova a dover risolvere una situazione problematica e, per farlo, prende una decisione – una tra le innumerevoli possibili – e dal quel punto in poi è chiaro a tutti che l’autore ti ha proprio abbandonato. O, peggio ancora: imbrogliato.
E la cosa assurda è che tu un po’ ci hai pure sperato che facesse esattamente così, perché te l’aspettavi – volevi potertelo aspettare - ma per un attimo hai sentito addosso il timore che anche questo personaggio fantastico non ce la facesse ad andare oltre la realtà delle altre strade possibili. Quelle frantumate dal gelo che così scopri che anche l’asfalto può essere rattoppato come una stoffa lacera. Quelle che le persone normali imboccano continuamente ogni giorno, e poi ci chiediamo come mai abbiamo tutti gli stessi sguardi anonimi e gli stessi futuri facilmente prevedibili.
Sono le conseguenze contraddittorie dei finali lieti: lacerati tra l’essere nutrimento primo di tutte le speranze ed i sogni che ci fanno brillare gli occhi e insieme la causa principale dell’insoddisfazione perenne che intrappola la nostra felicità nei ricordi, perché quando l’abbiamo vissuta eravamo troppo impegnati nella nostra corsa forsennata per raggiungerla.
E ci serve a poco essere pienamente consapevoli che anche negli happy ending – a pensarci bene – quelli che festeggiano alla fine sono davvero in pochi. Perché dietro al vissero tutti felici e contenti dei tuoi eroi (solitamente due), c’è sempre almeno una persona che si sta frantumando fino a dissolversi nel bianco nulla che segue l’ultima parola dell’ultima pagina.
Ma la dipendenza di qualcuno che ha fatto delle nostre azioni il motivo della sua felicità o della sua disperazione, il dolore che provochiamo ad un altro troppo fragile che poi ci tocca pure pagarla questa fragilità e sentirci in colpa, la rabbia e il rancore che non sono del tutto rivolti a te ma che a questo punto credi di meritarti per un malato senso del dovere, tutto questo - dicevo - può essere sul serio una giustificazione valida per rinunciare a quello che ti fa stare bene?
No, perché così finiamo davvero per ridurre il valore di un nostro sorriso al diametro della pozzanghera di tutte le lacrime versate da qualcun altro per renderlo possibile. E, non so tu, ma a me sembra una cosa profondamente terribile.
E se è vero che il senso di appartenenza dell’umanità sta nello spartirsi il dolore per non sentirsi inferiore a nessuno, scusatemi tanto, ma io oggi vado a provarci. Così, senza dire niente a nessuno.
Perché, comunque vadano a finire, tutte le storie sono storie d’amore e, al contrario dei personaggi di un libro, qui sta soltanto a noi decidere come viverle.
La felicità, per me, volendo identificarla, coglierla sul vivo, è quell'emozione assoluta che provo quando ascolto certe canzoni o quando il cielo ha un certo colore che mi piace particolarmente. Ogni volta che sento la necessità di condividere tali momenti per materializzarli meglio, mi viene in mente il pensiero di una donna ideale. Ogni volta mi dico che la sconosciuta che da qualche parte è in grado di sentire la mia stessa sensazione nello stesso momento, incarna la felicità. Ma credo che la felicità sia come questa donna, come questa sensazione: è immateriale, non esiste. La felicità, l'avvenire, sono perfetti e perenni sconosciuti, in tutti i sensi del termine. Ad ogni modo, sei solo al mondo, solo con i tuoi sogni. Ma se hai la fortuna di incontrare una donna che, pur non entrandoci niente con tutto questo, per un po' ti fa sognare e pensare alla felicità, è già grandioso.

sabato 18 dicembre 2010

the decemberists - the king is dead

Sono abbagliata.
Dal sole che mi scaraventi contro le finestre e da questo cd perfettamente perfetto per quell'unico attimo in cui saprà esserlo.
La deriva country dei decemberists scaricata prima del tempo legale. Che lo so che non si fa, ma tanto poi saremo tra i pochi rimasti a comprarci il cd originale. E tu puoi anche essere lì fuori ad aspettarmi sotto la neve, ma è passato il momento in cui io avevo voglia di aspettarmi qualcosa.
Ci si secca la gola nella polvere arida del soffio caldo di armonica. E l'acustica ritmata della chitarra è lo stesso motivo che ci spinge nel nostro viaggio tra i ghiacci verso nord. Perché tutte le strade portano a roma, ma oggi lo fanno su binari perfetti che seguiamo in diligente processione per non bagnarci le nostre scarpe bucate.
Stiamo rallentando mentre il clamore dei nostri giorni lascia spazio alla banalità di un oggi di cui non facciamo parte e di cui non vogliamo sapere più nulla. Non possiamo offrirci quotidianità quando l'unica cosa possibile era prenderci e portarci dove non siamo mai stati e dove mai saremmo potuti andare.
Conosco un posto in cui la notte non si spegne. Dove potremo ascoltarci anche se non avremo niente da dirci. E non ci rinfacceremo i passati di cui non abbiamo fatto parte.
Ma troppe cose negli occhi non posso farcele stare. Ho bisogno di dormire e che tu mi guardi mentre lo faccio.
Ero dietro di te e non ti sei girato.
Ma posso venire ad incontrarti, se mi terrai il posto vuoto al tuo fianco e continueremo a guardare avanti, insieme.

domenica 12 dicembre 2010

perturbazione - baraonda 10.12 - marina di massa

I corpi delle giovani spariscono.
Alcuni li ritrovi dimenticati in donne che fatichi a riconoscere. Altri gettati in fondo ai pozzi o incastrati nei muri. Di altri ancora finisci per perdere le tracce. E le ragazze a cui appartengono continuano a guardarti sorridenti e bellissime da ricordi e fotografie che le hanno intrappolate per sempre.
A volte, però, ti sembra di scorgerle tra gli sconosciuti che camminano per strada, oppure nascoste nei discorsi della gente che ti dice cose che prima non ti diceva mai. In serate come queste, poi, basta una canzone per perdere il senso e riportarti al tempo che avete rubato insieme, ballando vicini e crescendo a nuvole di fumo e profondo rock.
Ma è solo la realtà che si diverte alle tue spalle e tutto l'errore sta nell'immensa differenza che passa tra il sognarti addosso e il sognarti punto e basta. Nessuna immagine potrà mai rendere questo concetto e tu non puoi farci niente a parte vivere.
Continuo a viaggiare nell'ombra e ritrovarmi in posti in cui - succedesse qualcosa - non avrei dovuto essere. Me lo dici anche tu che l'imprevedibilità delle nostre vite è la combinazione matematica di elementi che devono accadere in una sequenza ben precisa. E non ci servirà a niente comandare i nostri sogni se un momento così semplice può salvarci, anche quando avevamo già dichiarato chiusa la stagione annuale di concerti.
Celebriamo l'anniversario della nostra unione ora che siamo più che mai divisi in ritagli non combacianti. Senza pensare che a volte devono passare anni prima di capire chi tra noi due aveva veramente ragione. E lo puoi scoprire solo per caso. Perché bisogna perdersi davvero per illudersi di ritrovarsi, in modo che poi tutto è meglio di niente. Perché dietro a un tesoro c’è spesso un naufragio e l'importante è che il tempo d'oro passato su di te resti negli attimi e negli occhi e non scompaia come i corpi impigliati nelle reti, in fondo al nero degli abissi.
Competere competere competere per chi
competere per chi non se lo merita
competere competere competere con chi
non sa nemmeno cosa sia domenica

domenica 5 dicembre 2010

le luci della centrale elettrica - tour/anteprima teatrale 03.12 teatro dal verme

Quando ho dormito nuda per sentire tutta la pelle toccata dal lenzuolo e quando sono ingrassata tre chili perché ho perso il conto delle maglie che avevo addosso.
Quando ho pensato che se giravi a sinistra noi non ci saremmo più rivisti e poi tu a sinistra ci hai girato per davvero e quando le cose sono accadute lo stesso anche se non erano passate abbastanza macchine rosse.
Quando ti avrei portato a scopare nei parcheggi dietro ai capannoni industriali e quando alla fine ce l’ho fatta per davvero ad andare a vedere le luci della centrale elettrica. Così, col verbo coniugato in modo diverso, che tutti i nostri progetti al plurale non facevano altro che ferire i pavimenti contro cui inevitabilmente si infrangevano.
Un teatro immenso preme sulle spalle e ci rende composti intimorendo i nostri applausi. Ma possono inventarsi concerti dove vogliono: noi restiamo sempre quelli con il biglietto in tasca da settimane e nelle stesse tasche mai un soldo per il guardaroba in cui lasciamo i nostri ombrelli rotti.
Sul palco non si sa che cosa dire ma si suona attenti, mantenendo la posizione e questa è la roba bianca nel cielo che alza la marea dei nostri sguardi. Senza lacrimogeni, senza supermercati dalle grandi insegne o garage a nord di milano in cui nascondersi. Solo un disco nuovo che si inizia a portare in giro – che poi è uguale a quello vecchio e allora forse ci sono solo queste poesie distorte da leggere chiusi a chiave nel bagno, costruite sull'orgoglio di un unico accordo in cui ci siamo sedotti con parole brillanti.
La magnifica eccezione di passare del tempo biologico insieme e l'incantamento per le cose che ritornano uguali a loro stesse. Come le città, le coincidenze e i nomi che ci investono di ricordi in cui ci stiamo ancora scambiando corpi affamati di realtà, che per uccidere la confusione bastava non confondermi con niente e con nessuno. Per la saracinesca inceppata e questo supermercato che si esauriva restando sempre aperto mentre a pensarci bene non sapevi neanche dove abito. Per tutti i meravigliosi compromessi falliti e per tutte le statistiche inutili che ci davano perdenti prima ancora che il sipario si chiudesse travolgendo la violoncellista.
Per tutto quello che abbiamo sprecato e le categorie digeribili in cui abbiamo provato ad inserirci.
Addio fottiti ma aspettami.