domenica 11 dicembre 2016

ludovico einaudi | teatro dal verme milano | 10.12.2016

Le pause che coprono l'assenza tra me e te, poi, semplicemente esplodono. Diventano frammenti di musica perfetta. Tempo caldo. Incanto di pianoforte. Suono elettrico della tua pelle.
È la stranezza della lontananza. Inciampare nei fili dei pensieri che provo a tendere fino a te. Senza dolore.
E poi all'improvviso diventare capace di vedere la perfezione nell'abbastanza. Che poi bastano davvero poche cose.
Non cercare più il freddo. Averti qui. Dirtelo, finalmente.
Hai ragione, amica mia. Il nostro unico segreto forse è stato quello di credere nel movimento. Andarcene - quando è servito. Ricominciare. Continuare a imparare. E, ovviamente, poterci sempre correre incontro.
Penso sia solo questo, quando guardiamo il mondo.
La relatività della distanza.
Il nostro enorme amore.
Noi.

martedì 27 settembre 2016

klangstof | close eyes to exit

Bisognerebbe cantare i silenzi. Oppure scoprire la musica per caso. Più spesso.
Dovremmo andare ad altri concerti. Così useresti ancora le mie canzoni. O magari basterebbe soltanto abitare più vicino.
Adesso che tu vali per tre e io prima o poi ce la faccio. Ad accettare il fatto che non sono più uno. A farci pace.
È che ho smarrito i miei capelli. No: li ho proprio lasciati indietro. Per perdere le storie che ci erano rimaste incastrate dentro. Annodate di polvere e di tempo passato. Alla ricerca di risorse nelle resistenze.
Perché ci sono persone che ci fanno sentire più umani di altre. E questo è un dato di fatto: come la forza di gravità e questo mese di settembre. Ci sono camere di alberghi troppo piccole per contenere i nostri corpi immensi. E poi ci sono i ponti, i negozi di dischi e le sale danza piene di fiori bianchissimi.
Eravamo tutti insieme - per una volta - e ci siamo approvati a vicenda.
È un nuovo capitolo e ti starò vicino.
Ora che puoi stare un po' più tranquilla per me.
Prometto.
Non me ne vado.

lunedì 15 agosto 2016

shura | nothing's real

Questa è la follia di un mese assurdo. E di tutta la paura che si porta dentro.
Questo è il preludio dell'estate, quella vera. Il fatto che se hai le mani impegnate, poi, non puoi distrarti troppo. Soprattutto dal pensiero di chi sta oltre le tue dita.
Questo è il giorno in cui ti guardo con assoluto distacco, forse un minimo di curiosità. E sei solo un ragazzo che porta avanti la sua vita - in quel personale modo con cui ognuno cerca di farlo. O forse in uno completamente diverso, che tanto poi sugli schermi si mostra  un po' la vita che si vuol far vedere. Il problema è la complessità che ci sta dietro, da guardare in faccia. Oppure il problema è solo il passato, che dovresti impedirglielo ma ogni tanto ti frena il presente.
Perché le cose le hai capite, ci siamo. Le hai imparate.
Però poi lasciarsi andare a quello che hai raggiunto, è tutt'altra cosa.
Oltre il limite è un mondo sconosciuto. I rischi sono troppo numerosi. La caduta troppo alta.
Ma quello che eri non è un appiglio.
E c'è qualcosa che spinge ad andare.
Verso un'isola. Verso un'altra persona.
O forse solo verso un presente continuo che.
È solo mio.

giovedì 21 luglio 2016

afterhours | market sound milano | 14.07.2016

Le mie amiche fanno il tifo per te, lo sai?
Lo fanno al sorriso nei miei occhi, sarebbe meglio dire. O forse alle mie labbra che non riescono a stare ferme quando parlo di te.
Le persone che mi conoscono meglio, esaltano la mia follia. E mi spingono a darti le risposte che io da sola ancora no - proprio non ce la faccio. Perché se mi deludi tu, è la fine. Perché poi si sa come va a finire e anche questi momenti qui passeranno e sarà sempre una sfida.
E io non sono completamente sicura di volerla affrontare. Ancora.
Le mie amiche sono più pazze di me, a volte.
Mi abbracciano forte, ti invitano ai loro matrimoni, vogliono conoscerti. Quando pure io ho la razionalità che mi guarda da fuori e mi chiede "ma che cazzo fai?". Ed è un'altra voce che potrei ascoltare.
Ma quello che sei - ora adesso qui - io lo conosco da sempre. Da tutto il tempo che ti ho aspettato. Ecco perché mi fido.
Allora prima che cambi. Prima che cambi quello che mi fai sentire. Prima che cambiamo noi, vivendoci. Devo approfittare di questo momento. Devo correre da te.
Ho troppe domande. Ho bisogno di troppe risposte.
Ma non le cercherò. Ho deciso così.
Mi tengo solo una cosa da chiederti - perché è importante.
Per il resto.
Mi basta come sto.
Con te.

oggi svegliandomi | ho realizzato che
tutto il resto è stupido | voglio provare a vivere.
se io fossi il giudice | mi inginocchierei
non ti farei domande | non chiederei perché
ho smesso di nascondermi | mi riconoscerai.

giovedì 14 luglio 2016

i-days festival | autodromo nazionale di monza | 08-10.07.2016

È sempre una questione di musica che fa vibrare la pelle.
Sono ripetitiva - lo so.
Valutare il contesto, sentirsene in parte estranea e in parte totalmente avvolta. Forse è stare bene, e il terrore di dirlo troppo forte. Perché sappiamo già come va a finire e io non so se ho veramente voglia di raccontarlo a qualcuno. Probabilmente vorrei urlarlo, come stanno cercando di fare i miei occhi sotto la trappola del silenzio. Probabilmente vorrei urlartelo, ma intanto lascio parlare te - che hai una bella voce e non ti mancano le parole. Per me.
Una scommessa di tre giorni e ancora abbiamo le energie per farlo. Prendere i treni all'improvviso oppure continuare a stare sotto a un palco - trovarci quasi una routine. Magari provarci ancora, a credere in qualcuno. A credere che possa essere facile, per una volta.
Io ti guardo. Guardo tutto come un filtro che in mezzo ci sei tu. Anche se qui mi tolgono la luce. Anche se dovrei preoccuparmi, talvolta arrabbiarmi, almeno prendere un appuntamento.
Rendere grazie alla tecnologia.
Per una volta.
Crederci.
Oppure semplicemente.
Crederti.

mercoledì 6 luglio 2016

calcutta | mainstream

C'è un marchingegno che non capisco. Qualcosa legato al fato. O forse al caso.
C'è questa cosa, che ogni tanto ci si deve ritrovare. Senza toccarsi mai, senza parlarsi. E ti prego vattene e lasciami stare.
Perché sei tu - non mi posso sbagliare - e sulle spalle ti porti il cadavere che hai sempre avuto dentro. Solo che questo è reale.
Perché ci sono io, una città semi aperta. E di lato qualcosa che è più piccolo del mare. Io, che ho il tramonto da gestire, nulla più da ricordare e tutto il sollievo di non chiederti più di poterti abbracciare.
Siamo andati. E ormai lo so quando è l'ultima volta che ci possiamo incontrare. Siamo andati lontano. E continueremo a farlo, pur di poterci vedere.
Ho deciso di lasciarti una possibilità. Di farti provare. In fondo ti stai impegnando - forse perché non conosci il muro che dovresti espugnare. Ho deciso di lasciarti andare, di lasciar andare. Che arriva l'estate ed è così bello ridere invece di dover pensare.
Qualcosa succederà - succede sempre. Non lo devi neanche aspettare.
Perché quando siamo di mezzo in due.
- funziona sempre così.
Tocca sempre a noi decidere come stare.

e allora dimmi che cosa mi manchi a fare
ti prego dimmi che cosa mi manchi a fare
tanto mi mancheresti lo stesso che cosa mi manchi a fare
ti prego dimmi...
me io ti dichiaro dentro una tv
che io da te non ho voluto amore
volevo solo scomparire in un abbraccio
confondermi con te.

sabato 18 giugno 2016

afterhours | folfiri o folfox

È come se ci fosse un limite alla delusione. E io ne fossi pericolosamente vicino.
Il passato, che è solo una storia che raccontiamo a noi stessi. E poi il corpo, che ci pensa lui a decidere dove si depositerà il tuo dolore.
E così sono ancora in fila. L'ennesimo esame. La pancia gonfia di quello che non accadrà mai.
E la stanchezza. Perché non è vero che fa male solo la prima volta.
Possiamo provare a crederci, possiamo abituarci - in un certo senso. Possiamo pure fare finta di niente e sorridere. Ma io ti sto dicendo altro - contornando me stessa come gesso bianco - e tu non te ne accorgi nemmeno.
Dove sei?
Davvero, dimmi dove te ne stai. Mentre io mi sento a casa nelle cose di cui gli altri se ne fregano. Nelle voci da urlare ancora una volta. Negli oggetti rotondi incastrati negli scatoloni che è un po' come essere in trappola pure io.
Tu abbracciati.
Perché nella mia guerra per trattenere la bellezza non mi sono accorta che la vittoria non stava in questo.
Ecco, penso che stia un po' tutto qui.
La vita che passa ad uscite discografiche di un gruppo in cui ricado sempre. Il mio oggi. Quello che sono.
Possibile che non riesci a capirlo mai?

è tutto più chiaro sai
se non puoi decidere 
hai solo una regola
devi solo vivere.

mercoledì 1 giugno 2016

giorgieness | la giusta distanza

L'ho realizzato solo ora - che rumore strano.
Che ci sono sempre di mezzo le mie parole, e i tuoi silenzi di ritorno. Che davvero non mi hai detto niente. Ed è sempre come gettare un sasso in un vuoto immenso - tanto da non riuscire neppure ad ottenere un tonfo sordo in cambio.
È che a questo giro mi hai tolto la fiducia. L'illusione. Il credere che in qualche modo l'amore torni indietro, ridando bellezza alle cose. Anche quelle più nere.
È che mi sento svuotata e scivolo su tutto il resto, perché è come se non ne valesse mai la pena. Come se non avessi più forza per alzare le braccia, stendere le dita e provare ad aggrapparmi a qualcosa - afferrare le mani di qualcuno. Non serve più.
Come aver aperto gli occhi - solo ora, per un attimo - su un mondo nuovo. Che è troppo lontano dal mio ma che è quello reale.
Come un gioco, che ti allontana la noia. Come un lucido, che ti risplende l'ego. Come l'amore, quello che crea dipendenza e ferma i cuori. Quello che ti scioglie le gambe e ti trema la pancia. Quello che probabilmente provavo per te e che ora non voglio più - perché fa troppo male.
Mi hai tolto questo, l'ingenuità, la voglia di credere.
È la mia ultima dichiarazione - e poi nulla più.
Sto qui. Non fare niente, tu.
Lo sai fare bene.
Lo sei.

che strano il rumore che fa. la sincerità.

sabato 14 maggio 2016

francesco motta | tambourine seregno | 13.05.2016

Prenditi quello che vuoi. Tanto io ti ho dato molto di più.
Prenditi le strategie. E l'importanza delle parole con cui mi uccidi la mente e resti attaccato alle mie gambe, scuotendole. Prendi tutto e vattene, tanto qui non esiste un senso, a parte quello di sfilarmi la fiducia e frantumarmi un altro pezzo di incanto.
Lasciami quello che non hai mai voluto capire, di me. E resta da lei.
Lasciami qui, dove è come se risuonassi. Come se il mio corpo producesse suoni per esprimersi e da solo non ce la fa mai. Ecco perché mi serve la musica. Ecco perché continuo a mandare canzoni in confezioni regalo: è l'unico modo che conosco per dire come sono. È la cosa migliore che posso fare per consegnarmi a te.
Sbagliare e schiantarsi e non sentire nemmeno più il colpo, il dolore. Solo ovatta e qualcosa che scivola via e abbiamo perso, mi sembra evidente. Non so esattamente cosa, ma in quel qualcosa ci siamo sicuramente noi due.
Io sono già altrove, solo che ho paura di vederlo. Io ho la città oltre la porta e un mondo di occasioni tutto mio. Io devo andare ai concerti per poter respirare, faccio ancora cose fuori dal tempo e la mia felicità è un poco che per te è un moltissimo da non riuscire neanche a pensarlo.
Quindi lascia stare, davvero. Fai finta di niente - che tanto ti riesce benissimo. C'è sempre un treno che mi riporterà a casa, poi mi basterà chiudere gli occhi per ritornare da me.
Starò tranquilla e concentrata perché ho solo questa occasione e deve riuscirmi bene.
Per cui, buona corsa.
Io voglio godermi il finale.

quello che ho sbagliato | non è servito a niente
hai perso il tempo ed il denaro | le due cose più importanti.

domenica 17 aprile 2016

arcaladanza | constelaciones | teatro sociale di como | 15.04.2016

Ho costruito il mio mondo, prima.
E poi ci ho messo dentro la mia casa.
L'ho fatto piano, l'ho fatto male, forse. Ma l'ho fatto come volevo io.
L'ho fatto che mi ci sento protetta, che ci vorrei portare te, che mi basta poco ma che ci sono delle cose che non devono mancare mai.
Ma l'ho fatto anche che a volte vorrei fuggire, che mi sembra di aver in qualche modo sbagliato, che mi viene da urlare e che, soprattutto, vorrei poter essere meno forte. Chiudere gli occhi, appoggiarmi a te e dirtelo. Invece di guardare la mia pancia sciogliersi. Colare tra le gambe e corrodere il mondo per tirarmi giù - ancora una volta. Mentre cerco parole stupide e in qualche modo mi ci aggrappo e resto dritta.
Ma che spreco. Davvero: che spreco.
Non ti preoccupare: non mordo. E non farò niente di inaspettato. A pensarci bene, potremmo pure continuare a vivere di finzione, il luogo ce lo consente - e io ho pure contornato di nero i miei occhi per contenere meglio tutto quello che hanno dentro.
Ma è la stessa settimana. È lo stesso posto. E ci sono successe dentro troppe cose.
Allora facciamo che mi tengo solo il ricordo più bello, di te che esci dalla sala e vieni proprio da me con quelle parole.
Così mi dimentico il resto.
Perché puoi farlo, puoi continuare a fare finta.
Ma per quanto tu possa indietreggiare.
Non mi sarai mai lontano abbastanza.

martedì 5 aprile 2016

gabriele mainetti | lo chiamavano jeeg robot

Compro orrore e indifferenza. Di prima qualità. Pago anche in contanti.
Cerco discorsi futili e disprezzo. Perché ne sono sprovvista. Falsità e opportunismo. Ne ho bisogno urgente.
In cambio svendo speranza e fiducia. Che tanto non servono a niente. Regalo cura, attenzione e amore. Non fanno altro che deludermi e io ne ho abbastanza.
Mi creo sorrisi, piuttosto, dalla bocca dagli occhi dal petto. Poco importa. Tanto non credo più che cambierà. Anzi, ne sono certa ormai.
Ci ho pensato e ho capito che siamo sempre sproporzionati, io e te. Perennemente sul punto di diventare eroi e con l'enorme terrore di farlo. Io sono partita, però. In qualche modo l'ho fatto, anche senza un costume a proteggermi l'identità. Tu socchiudi la soglia, invece. Ogni volta lo fai. Controlli la mia distanza e neppure ti rendi conto, di quanto vale la mia vita. Di quanto vale la mia vita con te.
Non ho niente da perdere, a dirtelo. Stai sicuro che lo farò. Ma non qui.
Solo che devi pensarci ora.
Perché quando il domani verrà.
Il tuo domani sarà.

venerdì 1 aprile 2016

mogwai | atomic

È che sto sbagliando. Lo sto facendo. Lo so.
Ma mi dicono che devo prepararmi a questa eventualità per portare avanti la mia personale ricerca della scelta giusta.
E quindi si sta.
A credere che sia ancora possibile - chissà perché. Mentre ho già chi me l'ha chiesto e non riesco a dire sì. Per il motivo che ti ho detto. Per la mia stupidità. O perché forse non lo voglio davvero.
Voglio questa musica, invece, che probabilmente è l'unica cosa buona che mi hai lasciato. Voglio tornare a casa e non avere nessun pensiero ad attendermi. Voglio che tu lo faccia - o almeno che ti domandi perché non lo fai. Voglio smetterla di crederci. Così tutto quello che accadrà, andrà bene.
Odio questo mondo, in cui non devi neppure prenderti la responsabilità di evitare il mio sguardo. Odio il fatto che le nostre conversazioni durano ore - a volte giorni - e che non importa il contenuto: l'importante è che comunichiamo. Odio che ti presenti all'improvviso e mi disordini una giornata di lavoro che credevo prefissata. Perché lo adoro. Perché c'è un'estetica nelle cose e ci terrei a mantenerla. E quando fai una cosa così, esplode. Ed è come se niente fosse stato.
In fondo conta solo il presente. Conta questo. E conta il fatto che comunque non mi hai dato una risposta.
Imparerò a credere ai tuoi silenzi. Sono i miei alleati migliori.
Imparerò per sconfiggere il drago che mi tiene lontano dal tesoro.
E che mi tiene lontano da me.

domenica 27 marzo 2016

francesco motta | la fine dei vent'anni

Vorrei correre più veloce, ma non ce la faccio. Allora punto sulla resistenza.
Vorrei potertelo dire, come ho sempre fatto. Ma parlarne lo renderebbe troppo vero e io non voglio crederci. E tu, comunque, non approveresti.
Allora sogno, almeno da lì posso incontrare le persone che ho perso. E forse non ne ho bisogno, perché come posso condividere quello che non riesco neppure a comprendere?
Siamo partiti da lontano per arrivare ad essere contenti. Ma poi ci basta un giorno per schiantarci e io posso solo provare a perdonare me stessa - perché nessun altro condonerà i miei errori - ma non posso continuare a perdonare te.
Quando si è più di uno, ci sono troppe incognite e fattori non controllabili. Ma alla fine ci rivedremo, lo so, sto solo aspettando.
Sto aspettando perché sono preoccupata, ma ci sto lavorando.
Ora lo so: non mi interessa più stare male.
Quindi educatamente, con un po' di tristezza.
Quando non ce la faccio più.
In silenzio, senza fare rumore.
Vado via.

sarebbe bello finire così
lasciare tutto e godersi l'inganno, ogni volta
la magia della noia
del tempo che passa la felicità.

sabato 19 marzo 2016

per te.

Chissà tu cosa hai pensato quando mi hanno lasciato sola.
Se l'avevi già capito che l'avrebbe fatto e ti tenevi pronto. Oppure se ha sorpreso anche te e ti sei trovato a fare i conti con una me stessa incrinata e umida.
Tu, che non ci sei abituato e che ci hai provato a modo tuo.
Tu, che alla prima telefonata sapevi già tutto mentre io per capire quella stessa cosa ci ho rimesso un pezzo di me. Però a casa per pranzo ci sono tornata lo stesso. E in spiaggia sotto il sole alla tua telefonata ho risposto - anche se non sapevo che eri tu. Anche se mi veniva da piangere e per me era un giorno triste, come quello prima e come quello seguente. Anche se non lo avevi mai fatto di chiamarmi di persona per dirmelo.
Chissà cosa pensi ora. Mentre io parto e tu resti sempre qui e ti accontenti delle mie risposte sterili per girare il mondo. Mentre faccio un altro passo della mia vita e chiamiamola, se vuoi, responsabilità.
Chissà come mi vorresti. E se lo pensi che sono bella quando ogni tanto torni a casa e mi trovi lì. Se mi vorresti toccare per essere sicuro che ci sono ancora o se ormai ti sei abituato alla mia assenza e ti basta rimirarmi da quella distanza che hai sempre tenuto tra di noi.
Chissà se ti siamo mai mancate, io e la mia fame di abbracci. E se davvero non fa differenza che me ne vada via per tre giorni o per tre anni, visto che al ritorno non sai dirmi sempre la stessa cosa.
Il passato non è un alibi, ok, ma tu mi hai fatto male di silenzio quando non potevo difendermi e ho costruito muri troppo alti per stare su. Di fronte a te.
Questo è tutto quello che posso fare per provare a dirtelo.
Io l'ho capito dai tuoi gesti e tu non puoi controllarmi.
A volte non sbaglio, lo sai?
Papà.

giovedì 17 marzo 2016

daughter | not to disappear

Ho pensato che ci devo fare l'amore io. Che deve essere fantastico. E per questo ho detto sì.
Ho pensato che ci leggerò, ti starò addosso, che ci diremo chissà quante cose e che ci mangeremo sopra facendo poca attenzione come nostro solito. Per questo ho detto ancora sì.
Ho pensato che è per me, che il sole entra dalle finestre, che lì ci potevo stare. E per questo ho detto subito sì.
Perché hai talmente tanti errori che sei la cosa sbagliata assolutamente perfetta per me. E chissà se ce la faremo. Chissà quanto ci metterai a chiedermelo. Chissà se pensi davvero che la tua strategia funzioni: che se non mi fai domande allora è come se non fosse vero, come se non ci fosse nulla da alimentare mentre invece semplicemente non ti stai interessando a me. Perché io sono anche quello.
Lo tengo chiuso in me, non ti preoccupare. Stordita nel mio regno, non ti invaderò. Hai altre cose di cui occuparti.
Fuori è pieno di pericoli e voi siete alcuni di quelli.
Allora chiudiamo gli occhi e vieni qui.
Perché a questo posto ho detto sì. E non vedo l'ora.
Perché a te - ancora una volta - ho detto sì.
E mi farò sentire viva.

sabato 12 marzo 2016

wintersleep | the great detachment

È stato troppo difficile per me incontrarti nel momento sbagliato.
La mia fragilità all'estremo. La mia immensa voglia di averti accanto. E tu, con i tuoi pensieri neri incastrati tra le sopracciglia e la paura di essere braccato negli occhi.
Eravamo fatti per scontrarci e per sfuggirci. Eravamo fatti per riconoscerci e poi legarci il petto. Eravamo fatti. E ci siamo fatti male.
Io, almeno, ti ho messo in mano le armi migliori.
Vivevo di noia e della mia lunga insonnia. Vivevo nei luoghi in cui bisogna guardare in faccia il terrore e l'ansia. Dove bisogna saper calmare i nervi e contenere l'anima. Vivevo sola - senza neppure me stessa. E avevo molto freddo.
Poi è arrivato il giorno in cui ho capito che non dovevo più scendere in centro. Perché già ci abitavo dentro. Quello in cui ho sperimentato che le cose restano sempre dove le hai lasciate. Ma alcune tornano e chissà se mi vedrai addosso quello che sono, adesso - se mai un giorno saremo ancora uno di fronte all'altro.
Non aspetterò che scappi. Questa volta non ti aspetterò.
Non farò cose spiazzanti perché ti ho già detto tutto. E tutto quello che ho da dire si può riassumere con me e te.
Una parte di noi lo sa. Poi un'altra pensa che sia meglio se ci stiamo lontano.
Funziona così, si combatte ancora.
Possiamo vedere come va.
O ritirarci fin da ora.

domenica 21 febbraio 2016

cirque eloise | cirkopolis | teatro degli arcimboldi milano | 18.02.2016

Quella sensazione lì, provata mai.
Saltare in alto e sapere che ci sarà qualcuno a prenderti sotto. Per non farti toccare il suolo quando poi torni giù.
Ecco, quella sensazione lì, che sei protetta. Nei gesti più semplici di ogni giorno, ma anche quando ti tieni il vuoto al di là dei piedi. Quando qualcosa ti sbalza oltre te stessa e non basta più il tuo corpo - per quanto abile forte bello e allenato che sia.
L'universo dentro si allarga, nutrito dal tempo e dalle briciole di quello che sei e non sei stata mai. E la pelle non ce la fa. Semplicemente non ce la fa a stare dietro a tutto questo.
È la profonda solitudine e la voglia di stare da sola. È la stanchezza di vecchie dinamiche e quella tutta nuova di costruirsi un regno. È il silenzio delle nuove tecnologie di comunicazione e il battito del cuore, che lo senti solo mettendoci una mano sopra.
Vorrei che le persone potessero ancora sorprendermi. Ma quando lo dico, ho in mente le persone sbagliate. Vorrei che mi bastasse tutto questo. Ma se fosse così, poi, smetterei di cercare di cambiare di respirare. Vorrei che non mi dimenticassi, che un giorno imparassi a dirmi quello che senti davvero. Anzi no, vorrei essere pronta io a sentirmelo dire.
Vorrei vivere di realtà. E trovarti.
Ma per questa volta sto perfettamente ferma.
Così non rischi di perdermi.

martedì 9 febbraio 2016

quentin tarantino | the hateful eight

È sanguinare. Avere qualche organo interno di troppo spappolato addosso. E sentire molto, molto freddo.
È il bisogno di scrivere, di stare sotto le coperte, di non pensarti. Di non pensare in generale. Di stare bene - per una volta.
Ondeggiare in tutte le mie vite. Così da non essere mai troppo presente. E neppure troppo precisa.
Averti una sera - una soltanto ma tutto per me - e accettarlo. Accettare che è tornato l'omino a dirmi qualcosa da dentro la pancia. Ma non lo capisco, ci provo, non ci riesco, sono distratta. Sono distratta da quello che provo a non considerare di te.
Qualche volta le equazioni le risolvo. Tipo che possono essere  complicatissime, ma poi il risultato per me è sempre uno. La maggior parte delle volte, però, mi perdo nei corpi nella confusione nelle mancanze negli attimi presenti e nella capacità di fingere. Mi confondo col silenzio - che è la spiegazione di molte cose. E poi dormo.
Così le parole che vorrei dirti non possono evadere dalla prigione del mio sogno. Le vite non si scombussolano. E tutto resta come deve restare. Tranquillo.
Gli otto personaggi dentro di me destinati ad uccidersi si sono dati appuntamento in mezzo al nulla. Inganneranno la tormenta e porteranno con sé il proprio messaggio.
Non lo saprai mai.
Se non farai nulla. Tu.
Non lo saprai mai.

domenica 31 gennaio 2016

i cani | aurora

Non è vero che il tempo guarisce tutto. Ti mette semplicemente di fronte a quello che eri - alle scelte che hai fatto - con la consapevolezza di quello che sei oggi. Il passato non passa, ritorna, si infila in un secondo di questo presente e ti scompiglia. Sta prima della razionalità, in quell'attimo che è solo della pancia. Che non ti puoi spiegare e non ti puoi fermare e ti riporta indietro. Esattamente come eri - tutto quello che sentivi.
Solo poi, ci penserai.
È un teatro, è sempre quello. Cercarti - perché se c'è lui devi esserci anche tu. Il cuore che ha da dire la sua. Le gambe. L'istinto. E poi la mente, che l'attimo dopo arriva, mi fermo e capisco. Ma quel momento lì lasciamelo vivere, perché non sono più qui.
Un teatro, ma fuori. Ho perso il conto e la cosa più bella è sempre abbracciarti. Sentire il caldo, e la tristezza. Che le persone non le puoi acchiappare: solo affiancarti a loro nella vita che stanno facendo per il tempo che te lo permettono. O che glielo permetti tu.
Questioni di tempistiche e di esistenze.
Allora dimmi solo che cosa provi, quando mi hai vicino. Che poi mi lasci sempre andare. Dimmi com'è. Dimmi di te. E dimmi di questo mare di pensieri che non ci fa toccare.
Dimmi che non vuoi. Che te ne andrai. E che questo - nonostante tutto - mi farà un poco male.
Dimmi che c'è questo posto bellissimo. Dimmi che è come una nuova vita. E che mi verrai a trovare.
Dimmi che c'è ancora un'altra alba e questo presente.
Così io nel tuo scappare. Posso chiudere gli occhi. Sapere tutto.
E tornare a dormire.

martedì 26 gennaio 2016

de rosa | weem

Se avessi ancora qualcosa da perdere con te. Me la giocherei, davvero. Prenderei tutto quello che mi resta, ti correrei incontro. E aspetterei che il tuo "va-sempre-tutto-bene" si distrugga lentamente, scontrandosi con le normali reazioni della pancia alla vita.
Non credo che la tua sia la soluzione perfetta, sai? Certo: può essere una strategia di resistenza - e neppure tra le peggiori. Ma non risolve tutto - anche se ti piace crederlo. E prima o poi lo capirai.
Non che la mia sia tanto meglio, non credere. Ma io sono per tutte le voci interne e non mi chiedo se mi fanno male oppure no. Voglio continuare a sentirle. Sempre.
Voglio le gambe che tremano, gli occhi pieni di lacrime, voglio poter pensare ancora a te e sentire la pelle che tira per la voglia di riaverti.
Non importa che sia giusto o sbagliato. Importa che sia.
Quindi grazie per il consiglio, ma no. Non mi toglierò il cibo - perché è troppo pericoloso e l'ho già fatto in passato. E non mi toglierò neppure tutto il resto: quello che penso di proteggermi, quello che mi viene fuori in automatico e poi realizzo che "oh no!", quello che non riesco a dirti certe cose e quello che penso di non meritare mai.
Mi tengo tutto e piuttosto continuo a provare a capirlo.
Non sarà la strategia che mi fa sentire forte.
Ma è quella che mi fa sentire viva.

venerdì 15 gennaio 2016

the lonely wild | chasing white light

Sei dall'altra parte del mondo. E io sono qui, che ascolto musica oggettivamente troppo per questo venerdì sera.
Sei dall'altra parte del mondo. Dall'altra parte del mio volere, del mio potere. E quando me lo sbatti in faccia, lo capisco proprio. Che sto facendo ancora la stessa cosa.
Sei in un mondo che mi si appoggia addosso. Una sera, ogni volta che ci sono. E sei che arrivo da te e mi metti in mano una realtà che mi ritrovo attorno. E sparisci tu, di fronte a me.
Mettila come vuoi, ma per me è magia.
Scriverti, che è come trapassare la crosta terrestre. Parlarti e farmi questa risata che non aspetto altro - così questo altro non mi avrà. Forse solo lavorare con te.
E pensare che andrò in città. Ci camminerò dentro per una sera e per una vita. Così arriverà aprile, e ci avrò messo il meglio di me senza smettere mai di avere le cuffie nelle orecchie.
Perché anche se i grandi tornano alle stelle nere che li hanno generati.
Questa roba qui è un'altra cosa.
Un'altra me.
Che non ti so spiegare.