giovedì 24 febbraio 2011

chapel club - palace

Ci sono due parole che galleggiano nell'aria.
La prima volta che le ho pronunciate mi è stato rinfacciato di usare termini troppo grandi per me. Ma forse non erano loro ad avere la dimensione sbagliata.
L'ultima - e seconda - che le ho sussurrate, mi sono sembrate così liberatorie da bruciarmi gli occhi. E insieme così fragili ed inutili di fronte all'enormità del messaggio che avrebbero dovuto trasmettere a chi le ascoltava.
Sole ed indifese nell'eterna guerra civile tra quello che ero (od ero convinta di essere) e quello che ancora non ho ben capito di poter diventare.
Ci vogliono canzoni dal ritmo serrato per non sentire i passi di chi credevemo invincibile che rallentano. Ci vuole comunque una melodia da seguire per non perdersi in questo labirinto ordinato che sono diventate le nostre vite. Per uscire dal rischio di restare intrappolati nei perenni viali di incertezza dove tutto si dice e tutto si ritratta. Perché forse non sono mai stata io il vero destinatario del messaggio. O ad un certo punto ho semplicemente smesso di volerlo essere e devo solo rinunciare e seguirti.
Così ti parlo da un millimetro di distanza. Riducendo al minimo possibile lo spazio di galleggiamento.
Che se il mio regalo per te era un lago di lacrime, prendi il tuo costume migliore che ci nuotiamo dentro. E ce ne andiamo lontani.
Che se siamo diventati noi quelli cresciuti insieme agli artisti che andiamo a sentire.
Nella doppia imperfezione di noi e dei primi dischi.
Forse è tempo di farlo.

lunedì 14 febbraio 2011

hey rosetta! - seeds

Sono ritornati gli hey rosetta! e avvisatene il mondo - per favore.
Un po' sempre loro. Un po' sempre acusticamente incazzati. Un po' sempre di quel paese lì che poi in italia per un concerto non ci passano davvero mai.
Qualcuno mi parlerebbe di 'aggressività con eleganza'. Ma qui per una volta non c'è nessuno a cui fare del male. Neanche se stessi. Si tratta piuttosto di fare come in quella canzone che scivola negli ansimi, fino a quando non si scoppia a ridere insieme. E così è ancora più divertente.
Questione di condivisione, ok. Ma anche di contaminazione.
Che prenderti tu i miei germi e raccogliere io le tue spore è forse la più grande dimostrazione che potremmo farci. Per noi che vogliamo la coreografia del rosso sangue e non quella dei palloncini a forma di cuore e delle tovaglie porpora che addobbano i locali in cui poi non ci restiamo mai.
E se i miei occhi sono lucidi non potrò mai dare la colpa alla congiuntivite. Così che poi anche tu ti ritrovi con la maglia umida come la mia. E mentre piango fuori piove. E se qualcuno non si sbaglia mai, resta comunque soltanto il calore dei nostri corpi per farci asciugare tutto addosso.
Mi dirai che ci incanteremo a guardare il vapore che faranno lacrime e sudore quando se ne vanno. E non ne capiremo neanche più la differenza.
Ti dirò che non voglio perdermi la metamorfosi delle nostre mani in solide radici leggere. Per questo continuo a guardarle.
Anche al buio.
Anche quando sono in posti in cui non posso vederle.
Continuando ad aspettare di tenerci su insieme.
Quando invece lo stiamo già facendo.